Il
manifesto ricorda le
vedute calcografiche (incisioni) di Roma antica.
Il punto di vista è a
volo d'uccello (rappresentazione prospettica dall'alto,
che ricorda la visuale che hanno gli uccelli
– o gli aerei – in volo)
e questa
impostazione permette la rappresentazione
tridimensionale e dettagliata dei teatri
di posa, set all'aperto, magazzini, piscine.
In alto c'è il "titolo" (Cinecittà. Stabilimenti cinematografici
Roma) e in primo piano in basso a destra
un cartiglio, con la
descrizione di quello che appare nella veduta. È un monocromo.
Tutto questo richiama le incisioni realizzate nel XVIII secolo da Giovan
Battista Piranesi.
Guardiamo il frontespizio (pagina di apertura) dell'opera Il Campo Marzio dell'antica
Roma (1761-1762), un volume con 42 tavole
che illustrano i monumenti antichi di questa importante area della
città. A parte il formato, verticale nel frontespizio e orizzontale nel manifesto, la somiglianza è molto
evidente, cartiglio in basso
a destra compreso.
Un modo di presentare questa
realizzazione mussoliniana, peraltro
decisamente meritoria, come
emula delle creazioni monumentali ed eterne degli
imperatori romani, di cui l'impero fascista si
proponeva come degno erede (sic!). |
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Quando la pubblicità e la propaganda politica si
incontrano...
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PIRANESI MODERNIZZATO
Una giovane artista inglese,
Emily Allchurch (1974),
riprende le Carceri
di Piranesi nella serie
Urban chiaroscuro
(2007), in cui propone
visioni inquietanti e
decadenti delle città
contemporanee (a lato, di
seguito, Londra Parigi e
Roma).
[vedi in proposito T.
Evangelista,
2009]
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Giovan Battista Piranesi
Nato a Venezia nel 1720. Nel 1744 si è
trasferito a Roma, dove è rimasto fino
alla sua morte (1778). È stato un grande
interprete dell'Urbe, sia della città
'moderna', con le chiese, le piazze e i
grandi palazzi aristocratici sia,
soprattutto, della Roma antica e
della romanità. Le sue incisioni hanno
diffuso in tutta Europa il mito della
magnificenza di Roma. Sono molto
suggestive.
Piranesi usa punti di vista insoliti,
spesso dal basso verso l'alto: così può
accentuare la monumentalità e solennità
delle architetture, che appaiono
gigantesche. Il senso di potenza è poi
accresciuto dall'uso drammatico della
luce e dell'ombra, che creano un
contrasto chiaroscurale molto
emozionante. Le rovine piranesiane,
così, non danno un'immagine un po'
malinconica di decadenza, della fine
della gloria imperiale, ma al contrario
ne suggeriscono l'eternità: se le rovine
sono così gigantesche, come dovevano
essere i monumenti ancora intatti? C'è
l'idea che proprio le stesse rovine
testimoniano quanto è stata grande Roma
(Roma quanta fuit, ipsa ruina docet).
Un critico ha scritto che
l'immaginazione di Piranesi era così
forte che ha costretto i suoi
contemporanei e i posteri a guardare
l'architettura romana coi suoi occhi. Al
punto che certi viaggiatori, come Goethe
e Flaxmann, quando sono venuti in Italia
e hanno visto i monumenti "dal vero",
davanti a certi edifici sono rimasti
delusi: in base alle incisioni di
Piranesi se li erano immaginati più
solenni e grandiosi di come erano
effettivamente.
E non pochi architetti neoclassici,
italiani e non, hanno progettato
edifici che si ispirano più alla
romanità di Piranesi che non alla
romanità delle autentiche architetture
romane: fra di loro ci sono Robert Adam
e John Soane.
(Il tempio di Giove
Tonante) |
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