Home       |       Pub e arte       |       Elogio della citazione       |       Pub e ...altro       |        Schede didattiche        |       Area Studenti

 

SCHEDA DIDATTICA 10

 
ASPETTI DELLA CIVILTÀ ANTICA


 
LUCULLIANO (PRANZO, BANCHETTO)

L'aggettivo luculliano viene usato in relazione a un pasto particolarmente raffinato, sia nella qualità dei cibi che nell'allestimento generale della tavola. Deriva dal nome di un generale romano del I secolo a.C., Lucio Licinio Lucullo, celebre non tanto per le sue vittorie militari in Oriente (che pure ha avuto e che lo hanno enormemente arricchito) ma per il suo stile di vita sontuoso.
Possedeva una serie di ville fuori Roma - una nella zona di Tuscolo (Castelli Romani) e tre in Campania, a Baia, Miseno e Napoli - dove trascorrere il tempo libero. Era un uomo colto e di buon gusto, ma anche con un gran senso per gli affari. Nelle sue ville c'erano tutti i confort, comprese terme, biblioteche (Tusculo), collezioni di quadri e di statue, uccelliere (Tuscolo) e roboraria,

cioè recinti per animali selvatici allevati non solo per divertimento ma anche per guadagno, vivaria o piscine marittime per l'allevamento di pesci rari (Napoli), anch'essi in parte destinati alla vendita.
A Roma possedeva invece un'enorme residenza immersa nel verde sul Pincio, gli horti che portavano il suo nome (horti luculliani):
un complesso di edifici e di giardini realizzati su terrazze costruite sulle pendici del colle e collegate da scalinate monumentali. Pare che l'edificio principale della villa si trovasse nella posizione oggi occupata dalla chiesa di Trinità de' Monti mentre la rinascimentale Villa Medici si è sovrapposta a una parte dell'area.

Lucullo, che dalle sue campagne in Oriente ha importato il ciliegio, amava naturalmente la buona tavola. Certo, tutti gli aristocratici e i ricchi offrivano banchetti sontuosi, e i grandi chef erano molto contesi, mentre la cucina dei romani comuni era piuttosto semplice. Ma è proprio dalla raffinatezza dei suoi banchetti, dalla preziosità delle stoviglie, dalla originalità dei cibi che è nata l'associazione tra il suo nome e la ricercatezza gastronomica.

Gli aneddoti dei contemporanei lo confermano. Perfino se
mangiava da solo si trattava come un sovrano: quando il suo cuoco, una sera, gli preparò una cena poco ricca con la scusa che non c'erano ospiti, Lucullo arrabbiato lo rimproverò

 
 

Modello degli horti di Lucullo sul Pincio (da Maquettes de Rome)

ricordandogli che "oggi Lucullo cena con Lucullo" (Quid?- inquit iratus Lucullus – Non
sciebas Lucullum hodie cenaturum esse apud Lucullum?
). E un'altra volta stupì
Cicerone e Pompeo, che mettevano in dubbio la sua liberalità, invitandoli a cena senza aver avvisato i suoi cuochi. "Apparecchiate nella Sala di Apollo" ordinò, e quelli capirono al volo, preparando un banchetto eccezionale con portate che comprendevano anche aragoste e pavoni.
 
 
 
BACCANALE

Il termine indica il rito celebrato in onore del dio Bacco o Dionysos, una delle divinità più complesse della religione antica. Dio della morte e della rinascita in quanto "nato due volte" (la prima volta prematuramente dalla madre Semèle, la seconda dalla coscia del padre Zeus, nella quale lo stesso dio lo aveva cucito per farlo sopravvivere), inventore del vino che regala l'ebbrezza, è sempre associato all'istinto, all'irrazionalità, alla sensualità: è il dio 'furente' che porta gli uomini alla follia.
Incarna l'aspetto oscuro e primordiale della natura umana, in opposizione alla dimensione razionale e armoniosa rappresentata da Apollo, dio della luce e dell'ordine. Mentre le arti plastiche sono dominate dallo spirito apollineo, la musica è generata da quello dionisiaco: secondo il filosofo Nietzsche la tragedia greca sarebbe nata proprio dai ditirambi dionisiaci, gli inni cantati e danzati in suo onore durante i baccanali.
Del corteo (thiasos) di Dioniso facevano parte le menadi o baccanti, fanciulle che danzavano freneticamente al suono di flauti e tamburi, e Satiri e Sileni, esseri che incarnavano lo spirito selvaggio tanto da essere raffigurati con caratteristiche 'animalesche' (
orecchie appuntite, due piccole corna sulla sommità della fronte, una piccola coda, talvolta zoccoli caprini) e, spesso, con il pene eretto.
 

 
Statua in bronzo di Dioniso, copia di epoca adrianea
(Roma, Museo di Palazzo Massimo alle Terme)

I baccanali erano cerimonie 'estreme', e prevedevano anche l'uccisione a mani nude di un animale, smembrato e divorato ancora caldo. Tutti i partecipanti indossavano pelli di animali e le donne, che potevano partecipare in quanto espressione dell'irrazionalità (essendo la razionalità, per gli antichi, una virtù esclusivamente maschile), danzavano reggendo un tirso, un lungo bastone appesantito da pigne per renderle più instabili. Insomma, un rito sfrenato e liberatorio: non stupisce che Dioniso fosse un dio molto popolare!

Così popolare che i Romani, in genere piuttosto permissivi in materia di religione ma alquanto intransigenti in fatto di morale e relazioni sociali, finirono per proibirli. Come è andata ce lo racconta TITO LIVIO. Nel 186 a.C. i baccanali si svolgevano in un boschetto alle pendici del colle Aventino, il lucus stimulae
, poco lontano dal tempio nel quale Dioniso era venerato assieme ad altre due divinità, Demetra a Persefone. Durante i riti ne succedevano di tutti i colori: "Eliminato ogni limite imposto dal pudore a causa del vino, della complicità della notte e della confusa promiscuità di maschi e femmine, di fanciulli e adulti, si cominciarono a consumare depravazioni di ogni tipo […] nella maggior parte dei casi prevaleva la violenza […] che restava celata tra gli strepiti e il frastuono dei timpani e dei cembali, che impedivano di udire la voce di quanti chiedevano aiuto in mezzo agli stupri e alle uccisioni […] Si trattava di una massa di grandi dimensioni, che ormai era quasi un secondo popolo; fra questi, alcuni erano cittadini e donne della nobiltà […] I senatori temettero vivamente che quei giuramenti collettivi e quelle aggregazioni sediziose introducessero il pericolo di azioni delittuose […] quindi affidarono ai consoli l’incarico di occuparsi dell’affare dei Baccanali" (Ad urbe còndita).
Insomma, i romani non vietarono il culto di Dioniso, ma i riti collegati al dio, che potevano essere accompagnati da stupri, violenze, omicidi e comportavano un'eccessiva promiscuità tra appartenenti a classi sociali diverse. Ragioni di ordine pubblico, in nome del controllo dello Stato.

 
 
DEUS EX MACHINA 
 
Frase latina, di origine greca, legata al teatro antico. Indicava infatti una sorta di effetto speciale dell'epoca, vale a dire l'apparizione inaspettata sulla scena di un personaggio che, con il suo intervento, risolveva la situazione. Poiché il personaggio era in genere una divinità (deus) e veniva fatto calare dall'alto grazie a una machina (una gru azionata da funi e argani), deus ex machina significa proprio 'dio che viene dalla macchina'.
Dato che il suo intervento risolveva anche le situazioni apparentemente più complicate, il filosofo PLATONE scriveva ironicamente che ad esso facevano ricorso gli autori teatrali "quando non trovano più via d'uscita" (Cratilo, 425d).

La frase viene usata ancora oggi, in relazione all'azione inaspettata di qualcuno che, contro ogni logica o aspettativa, scioglie una questione che pare irrisolvibile.
 


Ricostruzione della scenografia delle Tesmoforiazuse di Aristofane, con macchinario
per sollevare un attore (da U. Albini, Il teatro greco, Archeo-Dossier, 23, 1987, p. 34)

 
(Giulia Grassi, giugno-luglio 2009)
 

Presentazione     |      Chi siamo      |     Sito- Bibliografia    |     Indice artisti & opere     |      Matdid      |      Link      |     Contatti