Tra i materiali utilizzati per la scultura c'è il bronzo, una
lega di rame e stagno. Fin da epoca molto antica sono state
utilizzate varie tecniche per realizzare oggetti e statue con
questo metallo. Ecco le più significative. |
1.
FUSIONE
PIENA
Per la consistente quantità di
materiale che richiede è adatta
soprattutto a sculture e oggetti di
piccole dimensioni.
● a matrice. Il bronzo fuso
viene colato entro uno stampo (di
pietra o di terracotta, aperto a
monovalve o chiuso a due valve)
riempiendolo totalmente, senza
lasciare alcuna cavità. Propria
in particolare delle fasi più antiche (età del
Bronzo), permette la produzione in
serie ed è usata soprattutto per
manufatti di uso pratico.
● a
cera perduta con modello pieno.
Si modella nella cera una scultura,
la si ricopre con uno strato sottile
di argilla e, ancora, con della
terra refrattaria. Quando questa
forma viene messa nel forno di
cottura, la cera si scioglie e
fuoriesce da aperture predisposte a
questo scopo. Nella spazio vuoto
lasciato dalla cera viene colato del
bronzo fuso, che lo riempie
totalmente prendendone la forma.
Dopo che il bronzo, raffreddandosi,
si è solidificato, si rompe lo
strato esterno di argilla ed appare
la scultura, che viene sottoposta a
procedimenti di rifinitura (con
eliminazione delle sbavature di
metallo), lisciatura e levigatura.
Con questo procedimento si ottengono
solo esemplari unici, vista
la perdita del modello in cera e del
rivestimento in argilla.
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2.
FUSIONE
A CERA PERDUTA CON MODELLO
CAVO
Fin dal
VI secolo a.C. in Grecia vengono
create statue in bronzo a grandezza
naturale o maggiore del vero. La
tecnica particolarmente utilizzata è
quella della fusione a cera perduta
con modello cavo, che richiede una
minore quantità di bronzo e permette
di realizzare opere di grandi
dimensioni e relativamente leggere.
Si tratta di una tecnica complessa e
costosa, che comporta una grande
abilità da parte dell'artista.
Si può procedere in modo diretto
(fusione unica o per parti separate)
e indiretto (a tasselli). C'è da
dire che anche se conosciamo
piuttosto bene i procedimenti
adottati nella metallurgia antica,
tra gli studiosi ci sono ancora
molti contrasti circa il
procedimento usato nei singoli
bronzi.
A.
Metodo diretto
È un procedimento dall'interno verso
l'esterno, nel senso che si parte da
una sagoma sommaria su cui lo
scultore lavora aggiungendo strati
sovrapposti di materiali diversi,
ciascuno con determinate
caratteristiche. Se la statua è di
dimensioni modeste, si può procedere
realizzandone la fusione in un'unica
gittata, ma nel caso di grandi
bronzi si preferisce fondere
separatamente le varie parti e poi
congiungerle mediante perni e
saldature. In entrambi i casi, la
successione delle fasi è
sostanzialmente la medesima.
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>
Si abbozza un modello in
terra refrattaria (terra di
fusione), che è resistente alle
alte temperature; detto nucleo
o anima. Può essere modellato
su un'intelaiatura di legno o
metallo, per dargli maggiore solidità.
> Sul nucleo si stende uno
strato di cera, materiale facilmente plasmabile, nel
quale la figura viene modellata in
modo accurato, in tutti i suoi
dettagli; lo spessore
della cera può variare da uno a due
centimetri e mezzo, a seconda delle
esigenze. È la fase
della vera realizzazione
della statua.
> La cera viene ricoperta da uno
strato di materiale refrattario,
dato col pennello in varie mani e riproducente i dettagli più fini
(camicia). E poi da altri
strati di materiale, gesso o ancora terra
refrattaria, che creano la cosiddetta forma
esterna o cappa, provvista di
canali di getto
per far uscire sia la
cera (scolatoi)
nella fase della cottura
sia l'aria e i vapori di
fusione al momento
dell'immissione del
bronzo fuso (sfiatatoi),
più un'apertura per
l'immissione del bronzo.
>
Questo blocco viene sottoposto a
cottura (400-500°). La cera si scioglie uscendo
dagli scolatoi e lascia tra nucleo
interno e forma esterna uno
spazio vuoto.
> In questa cavità si
cola il bronzo liquido
che,
solidificandosi, prende
la forma della figura
modellata
nella cera. La
fuoriuscita di aria e
vapori
dagli sfiatatoi
deve evitare la formazione di
bolle d'aria e di grumi o
che il metallo non
raggiunga tutti gli
interstizi riempiendo
uniformemente ogni
spazio. Si riempiono
così anche i canali
di getto.
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>
Si lascia raffreddare.
Si rompe la forma
esterna ed
emerge finalmente la
statua in
bronzo.
>
Si passa allora alla
fase delle rifiniture,
eseguite sia a caldo che
a freddo: eliminare le sbavature di metallo
e i canali di getto che
spuntano dalla figura, levigare la
superficie, incidere i dettagli a
bulino e a cesello, lavorare alcune
parti in agemina
(con l'uso di sottili
fili di altri metalli), applicare dorature
e altri
materiali: avorio e pietre colorate per gli occhi,
lamine di rame per labbra
e capezzoli o d'argento
per i denti.
>
Vengono aggiunti infine, fusi a parte, anche attributi
particolari come armi, monili, corone d'alloro ecc.
In
caso di statue di grandi dimensioni o
particolarmente complesse i rischi legati alla
fusione possono essere contenuti fondendo le
varie parti separatamente. Con perni o saldature le parti vengono
poi unite tra di loro e un lavoro di rifinitura
particolarmente accurato nasconde i punti di
giuntura.
Questo procedimento è stato utilizzato soprattutto
dal III secolo a.C., ma non mancano esempi
di epoca precedente, come l'Auriga di Delfi
(datato
tra 478 e 474 a.C.): la foto mette in
evidenza in che modo il braccio sinistro, perduto,
era fissato alla spalla e nascosto dalle pieghe del
chitone. In questa statua sono fusi separatamente
anche i piedi e la testa.
Con il metodo diretto di fusione si ottengono
esemplari unici,
vista la
perdita del modello in cera e la rottura della
forma per estrarre la statua in
bronzo. |
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B.
Metodo indiretto (a tasselli)
Per lungo tempo si è ritenuto
che questo procedimento sia stato
inventato soprattutto per evitare la
perdita del modello e
ottenere più repliche di una stessa
opera; e che questo si avvenuto a
partire dal tardo-ellenismo e poi
soprattutto in epoca romana,
vista la grande richiesta di statue
per abbellire e nobilitare le case
dell'aristocrazia.
Gli ultimi studi (ad esempio di A.
Melucco Vaccaro) sembrano invece
indicare che esso sia stato
utilizzato per i grandi bronzi greci
fin dal V secolo a.C.
Si procede in modo inverso rispetto
al metodo diretto perché si parte
dalla forma esterna per
arrivare al nucleo interno,
procedendo non per strati ma per
riempimenti.
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|
>
Si realizza un
modello in argilla (1), a
grandezza naturale e
molto accurato in tutti
i dettagli.
>
Da esso si ottiene un
calco in gesso (2),
applicando il materiale
in forma di singoli
pezzi separati e
smontabili (tasselli).
>
All'interno dei singoli
tasselli viene steso uno
strato di cera (3),
applicato col pennello
in varie mani, che
assume l'aspetto
dell'iniziale modello in
argilla in essi
impresso.
>
Le lastre di cera,
staccate dai tasselli,
vengono montate su una
'statua'
modellata sommariamente
in materiale
refrattario (anima),
rinforzata da
un'intelaiatura interna
di legno o metallo
(4).
>
Le giunture tra le
lastre di cera vengono
nascoste e questo nuovo
modello in cera
viene ulteriormente
ritoccato e rifinito;
vengono inoltre fissati
i canali di getto,
sempre in
cera, che fungono da sfiatatoi,
scolatoi e apertura per il
getto del bronzo fuso (5).
>
Il tutto viene ricoperto da uno
strato di materiale refrattario
(camicia o forma)
(6). A questo punto si procede
come nel metodo diretto: cottura,
deflusso della cera, immissione del
bronzo fuso e così via. |
Il numero di originali in bronzo che ci
è pervenuto è incomparabilmente
ridotto rispetto alle statue che nel
mondo greco e anche romano sono
state prodotte, tanto è vero che noi
studiamo i grandi bronzisti
dell'antichità in base alle copie in
marmo di epoca romana (ad esempio,
il
Doriforo di Policleto, l'Apoxyòmenos
di Lisippo, il
Discobolo di Mirone). Questo
perché i grandi bronzi sono stati
fusi durante il medioevo per
riutilizzare il metallo, diventato
rarissimo, per fare monete,
stoviglie e altri oggetti di uso
quotidiano.
Gli esemplari giunti fino a noi si
sono salvati in modo fortunoso:
perché occultati sotto le macerie di
templi crollati (Auriga di Delfi),
seppelliti per
damnatio memoriae (Bronzi
di Cartoceto), erroneamente
identificati (Statua equestre di
Marco Aurelio, scambiata per
quella del primo imperatore
cristiano Costantino), affondati con
la nave che li trasportava (Zeus/
Poseidon di Capo Artemision o i
Bronzi di Riace). |
I BRONZI
DI RIACE
Rinvenuti
in mare
nel
1972,
sono un
esempio
delle
incertezze
della
critica
a
proposito
della
tecnica
utilizzata
dagli
antichi
per
fondere
le
statue.
Il
procedimento
è quello
della
cera
perduta
con
modello
cavo,
e per
lungo
tempo si
è
ritenuto
che
fossero
stati
fusi con
il
metodo indiretto, ma negli
ultimi anni sta imponendosi la tesi che
sia stato utilizzato il
metodo diretto; chi segue questa
seconda ipotesi, però, dibatte se siano stati realizzati
in un'unica fusione o con la fusione
di parti
separate.
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Di
questi
bronzi
si
ignorano
la
provenienza,
la
datazione
e gli
autori,
e molte
sono
state le
ipotesi
avanzate
in
proposito.
Una
delle
più
recenti
si basa,
tra le
altre
cose,
sul
rinvenimento
della
terra di
fusione
al loro
interno
(1993).
Questa è
stata estratta dai fori nei piedi ed
analizzata, scoprendone la provenienza:
dalla
pianura dove sorgeva la città di
Argo quella del Bronzo A e
da Atene quella del
Bronzo B,
all'incirca di 25 secoli fa. La provenienza geografica
e la
tecnica usata, nonché lo stile del modellato, hanno convinto l’archeologo Paolo Moreno
che l'autore del primo sia
Agelada,
scultore di Argo che è stato maestro di
Mirone, mentre quello del secondo sia
lo
scultore Alcamene;
che il
Bronzo A sia da identificare con
Tideo
e quello
B con Anfiarao, due dei "Sette
contro Tebe"; e che le
statue siano parte del Monumento dedicato ai Sette contro Tebe e
ai loro figli che lo scrittore
greco Pausania,
tra 160 e 177,
scrive di aver visto nella
piazza principale di Argo.
(*Un mito di virilità
che oltrepassa i millenni: consigli
per farsi un
corpo da Bronzo di Riace) |
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(Giulia Grassi,
maggio 2009) |
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