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SCHEDA DIDATTICA 16

 
 
IL GIAPPONISMO:
1. LA FASCINAZIONE DEL 'MONDO FLUTTUANTE' (UKIYO)
 
(di Pisana Grossi)

 

L’Ukiyo-e è un genere di stampa artistica giapponese su blocchi di legno prodotta tra il XVII e il XX secolo che raffigura in genere paesaggi, soggetti teatrali, quartieri del piacere e vita di città. Essa si sviluppò in concomitanza con il fenomeno dell’urbanesimo e il consolidamento della borghesia cittadina dedita ad attività artigiane, mercantili e commerciali che, nelle immagini del Mondo Fluttuante (uki-yo), riuscì ad esprimere con grande vitalità tutte le innovazioni introdotte nelle abitudini alimentari, nel vestiario, nello stile esistenziale e  nella vita culturale. Queste stampe divennero ben presto uno strumento altrettanto importante dei nostri mass media potendo assicurare, se uscite dal pennello di un grande artista, il successo a una cortigiana o a un attore del kabuki.

Nella sua forma originaria che troviamo già nella letteratura buddista dell’VIII secolo, il termine uki-yo, composto da due ideogrammi, letteralmente significa mondo del dolore (uky=dolore; yo=mondo) che rimanda alla condizione di impermanenza generata dal mondo quotidiano che il saggio deve evitare perché fonte di sofferenza costante:

Ogni cosa è impermanente.
Quando si comincia a osservare ciò, con comprensione profonda e diretta esperienza
allora ci si mantiene distaccati dalla sofferenza:
questo è il cammino della purificazione 
(Dhammada, XX, 227)
 

 



KUBO SHUNMAN, Il ristorante Shikian a Nakasu
sul fiume Sumida
, (1787-1788)


Con l’avvento del periodo Togukawa o Edo (1603- 1868) (a destra), in seguito allo sviluppo economico e amministrativo di Edo, che corrisponde all’attuale Tokyo, si assiste però a un radicale stravolgimento di questo concetto. Mentre il secondo ideogramma yo rimane lo stesso,  il primo uky viene sostituito con un altro ideogramma di origine cinese che ha lo stesso suono ma grafia e significato differente. Così il "mondo della sofferenza" diventa "mondo fluttuante" che verrà a indicare il mondo del piacere e il suo carattere transitorio e fugace, simile a un sogno. Il presupposto buddista è quindi rovesciato e "il mondo miserabile" verrà a significare "il mondo alla deriva" mutevole e frivolo che designerà i quartieri di piacere e tutte le immagini del "mondo fluttuante" che faranno nascere un genere nuovo, l’ukiyo-e:

 
“…vivere soltanto per il momento, prestando piena attenzione ai piaceri della luna, dei fiori di ciliegio e delle foglie dell’acero, cantare canzoni, bere vino e provare piacere solo nel fluttuare, fluttuare senza curarsi minimamente della povertà che grida in faccia e rifiutare di farsi prendere dalla malinconia, fluttuare lungo la corrente del fiume come un secco guscio di zucca: ecco cosa intendiamo per ukiyo
" (Asai Ryoi, Racconti del mondo fluttuante, 1661)

Questa nuova società rispecchiava i gusti e le nuove aspirazioni che si sviluppavano intorno ai teatri del popolare kabuki e ai quartieri del piacere dove le cortigiane facevano nascere comportamenti nuovi basati sull’intrattenimento, sull’essere alla moda, sull’attrarre e respingere al tempo stesso, esprimendosi attraverso un canone formale di altissima perfezione e al tempo stesso di naturalezza. La vita cittadina aveva prodotto una trasformazione dei comportamenti non solo del popolo ma anche dei samurai, la tradizionale casta di guerrieri al servizio dei principi feudali. Veniva quindi messo in crisi il senso delle tradizionali virtù cavalleresche e il possesso del denaro diventava un valore per ogni classe sociale. Il ricco chōnin, l’uomo della città, poteva accedere, secondo i propri gusti, a piaceri ed emozioni riservati in precedenza a élite esclusive.

UTAGAWA TOYOHARU, Otto vedute prospettiche di Edo, (1764-1772)
                                     

   

              Periodi storici del Giappone
 
Asuka (552-645) Momoyama (1568-1603)
Hakunō (645-710 Edo (1603-1868)
Nara (710-794) Meiji (1868-1912)
Heian (794-1185) Taishō (1912-1926)
Kamakura (1185-1333) Shōwa (1926-1989)
Muromachi (1333-1568) Heisei (1989-)

                 Periodo Edo (1603-1868)

Se nel corso del XVI secolo il Giappone aveva cominciato a intraprendere rapporti commerciali con Portoghesi, Spagnoli e Olandesi, agli inizi del secolo successivo una chiusura ben più intransigente di quella che contemporaneamente avveniva in Cina, intervenne a troncare questi scambi. Il Giappone entrò quindi in una fase di isolamento che durerà per lo meno fino al 1854, con l’arrivo delle navi da guerra americane che chiedevano l’apertura dei porti. In realtà, con grande saggezza, i giapponesi lasciarono aperto uno spiraglio sul mondo: permisero infatti agli Olandesi della Compagnia delle Indie orientali di tenere un fondaco nell’isoletta artificiale di Deshima, nella baia di Nagasaki, rigidamente controllata. Così, per tutto il periodo, attraverso un dettagliatissimo rapporto annuale stilato dagli Olandesi, il Giappone fu il paese dell’estremo oriente più informato su quanto succedeva nel resto del mondo, mentre nel mondo poco si sapeva del Giappone.

La lunga fase dell’isolamento coincise con la supremazia della famiglia Tokugawa che con Yeyasu aveva conquistato lo shogunato nel 1603 ponendo fine a un secolo di guerre tra signori feudali (1467-1568 "Epoca dei signori della guerra") e dando il via alla trasformazione del paese in senso centralistico condotta all’interno delle vecchie forme di uno Stato semifeudale. Dopo la sua vittoria finale sugli avversari con la battaglia di Sekigahara nel 1600 e la nomina imperiale a shōgun, pur restando Kyoto sede della capitale imperiale, la capitale amministrativa fu stabilita a Edo (la moderna Tokyo) che in circa un secolo raggiunse un milione di abitanti diventando la più grande metropoli del mondo. Qui si sviluppò una nuova classe di commercianti e un’intensa vita metropolitana, centro della nuova cultura borghese e popolare e della gran parte di produzione d’arte, di letteratura e di teatro che riflettevano i nuovi gusti del pubblico cittadino.

Così il Giappone moderno nacque da una peculiare forma di intrecci e confronti tra l’ambiente feudale e samuraico, la nuova borghesia imprenditoriale e le antiche tradizioni della corte imperiale. Pur sottraendosi quindi alla penetrazione  del mercantilismo europeo, il Giappone riuscì a conservare e a far progredire le proprie potenzialità di sviluppo fino a porre le basi, tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, di un autonomo modo capitalistico di produzione che, dopo la fine dell’isolamento nella seconda metà del XIX secolo, lo vedrà allineato sorprendentemente allo sviluppo capitalistico in atto nei Paesi economicamente più avanzati del mondo.


 
 

Moderno attore del teatro Kabuki

  TEATRO KABUKI

La parola kabuki  si riferisce al teatro popolare che nacque ai primi del XVII secolo negli ambienti cittadini e ebbe il suo massimo sviluppo durante il periodo Edo diventando una delle principali forme di divertimento pubblico, insieme al Bunraku, il teatro delle marionette. Questo genere di spettacolo popolare contrapponeva alla ieratica e compassata forma drammatica del teatro di impronta aristocratica, con i suoi costumi sontuosi e le sue raffinate maschere, scenografie spettacolari e sentimenti straripanti, esaltando la forza di passioni un tempo evitate e represse.

Il verbo kabuko, in senso traslato, rimandava al significato dell’assumere atteggiamenti eccentrici e trasgressivi quali erano quelli assunti dai samurai di basso rango rimasti senza padrone che rifiutavano la rigida separazione tra le classi sociali sancita dal nuovo sistema politico. Essi si vestivano, si pettinavano e si comportavano  in modo stravagante affollando le strade di Kyōto e Osaka, le due grandi città giapponesi dell’epoca, e diventando ben presto eroi popolari, amati dal pubblico che ne imitava i comportamenti.
La vita di strada delle città in cui il popolo cominciava a sviluppare la consapevolezza della propria identità sociale e culturale, fu quindi il germe dei futuri sviluppi teatrali.
 

    OKUMURA MASANOBU, Interno del teatro Nakamuraza, 1745
  L'iniziatrice vera e propria del Kabuki fu una donna di nome Okuni la quale a Kyoto recitava sul greto in secca del fiume Kamo, vero e proprio spazio pubblico adibito a ogni sorta di intrattenimento popolare. Le sue rappresentazioni erano caratterizzate da travestimenti, recitazione allusiva e mimata, intrecci popolari e soggetti trasgressivi, elementi che furono ripresi sia dal "Kabuki di donne", sia dal "Kabuki di giovinetti" e che costituiranno la struttura della tradizione teatrale Kabuki.
Dopo varie vicende e severi interventi censori da parte dello Shogunato per motivi di morale pubblica, nel 1653 solo i maschi adulti (yarō) furono autorizzati a calcare le scene. Di conseguenza l’attrattiva non derivava più dall’ambiguità degli elementi erotici, piuttosto dal talento artistico del singolo attore.
L’evoluzione delle tecniche di recitazione comportò importanti adeguamenti delle strutture sceniche. La "strada dei fiori", una passerella originariamente parallela al palcoscenico, usata dal pubblico per offrire omaggi floreali agli attori, nella prima metà del Settecento fu spostata in posizione longitudinale in modo da attraversare tutta la platea. In questo modo gli attori si offrivano alla vista ravvicinata degli ammiratori e dei disegnatori di stampe che immortalando gli attori nelle pose più impressionanti e significative contribuivano ad amplificarne la fama e a diffonderne gli stili.
 
 
"CITTÀ SENZA NOTTE" (YUKAKU) E CORTIGIANE

All’interno delle immagini del Mondo Fluttuante, un luogo particolarmente significativo è svolto dai quartieri del piacere che, oltre a essere ritrovo di gaudenti in cerca di divertimenti, si trasformavano in veri e propri salotti frequentati da artisti, letterati, editori, mercanti, aristocratici liberi dal rigore formale della loro esistenza normale. All’interno di questi quartieri vivevano prostitute di basso rango ma anche cortigiane raffinatissime che sapevano improvvisare versi  nelle gare poetiche, comporre i fiori con arte e tracciare lettere con diversi stili calligrafici.

Il primo quartiere dei piaceri legalizzato fu costruito a Kyōto nel 1589. Fu per controllare il fenomeno della prostituzione che venne chiuso da un muro di recinzione. Questo quartiere così delineato divenne il modello dei "recinti dei piaceri" istituiti in altre città giapponesi come Shinmachi a Osaka, Maruyama a Nagasaki e Yoshiwara a Edo che da subito acquistò una fama superiore a quelli delle altre città. Le cortigiane delle tre capitali assunsero stili differenti tra loro e venivano rappresentate dagli artisti Ukiyo-e come fiori bellissimi ed effimeri, infatti sbocciavano e sfiorivano presto.

Quando nel 1617 venne concessa la licenza per fondare a Edo un quartiere dei piaceri, il luogo destinato sorgeva ai margini della città, in una zona acquitrinosa. Questo spiega perché il quartiere fu chiamato Yoshiwara,
"campo delle canne".  Successivamente, dato lo straordinario sviluppo della città, il quartiere divenne centrale e le autorità ordinarono che fosse spostato più lontano. Si scelse pertanto una zona a nord di Edo, Asakusa, lungo il fiume Sumida. Il primo ideogramma del nome fu sostituito con uno di suono identico ma di senso diverso: così ora Yoshiwara significava "campo della fortuna" o "campo della felicità". Il quartiere era chiuso da mura e vi si accedeva attraverso il Grande Portale che immetteva nella Via Mediana sulla quale si affacciavano le case da tè per appuntamenti. L’unico verde era rappresentato dai salici, simboli di prostituzione di antica origine cinese.

 


 
OKUMURA TOSHINOBU, Tre
cortigiane di Kyoto, Edo e Osaka
paragonate a fiori
, 1730-1735


L’epoca d’oro di Yoshiwara durò circa un secolo, dalla seconda metà del XVII secolo alla seconda metà
del XVII. Durante questo periodo i gestori delle case di appuntamenti furono spesso persone di cultura in grado di favorire gli incontri tra artisti, poeti e scrittori. Fulcro di questo ambiente
erano le cortigiane (orian) la cui eleganza e il cui portamento potevano essere ammirati all’ora del
crepuscolo quando, con il loro seguito, uscivano a passeggio sulla via Mediana.
 



KITAGAWA UTAMARO, in
Il canto del guanciale (Utamakura), 1788

Nonostante il termine "cortigiana" sia piuttosto generico in quanto si riferisce all’arte femminile dell’intrattenimento maschile e non spieghi a sufficienza le complesse categorie nelle quali erano inquadrate, va messo in evidenza che non di rado esse svilupparono doti morali e di carattere, garbo, spirito e una notevole intelligenza che le rendeva centrali nel mondo a parte dei quartieri del piacere, separato dal contesto della vita ordinaria. Nella seconda metà del Settecento, in concomitanza con i primi segni di declino di Yoshiwara, comparve una nuova figura femminile, la geisha ("persona di talento"), che aveva caratteristiche diverse e funzioni separate da quelle della cortigiana. Era infatti intrattenitrice professionista, danzatrice, cantante e suonatrice di shamisen, molto richiesta  nei banchetti e nei ricevimenti. Aveva proprie caratteristiche di stile: portava abiti sobri  e poco decorati, annodava l’obi sul retro, si truccava pochissimo . La sua bellezza era data dalla distinzione, dal garbo e dalla riservatezza e delineava un prototipo di femminilità fine e nobile che si distingueva dall’aspetto delle comuni donne di piacere. Le donne quindi erano protagoniste assolute all’interno dei quartieri del piacere e divennero simbolo di una libertà (anche se solo apparente) che non era concessa né alle donne del ceto samuraico, né alle donne chōnin.
     

[Bibliografia: GIAN CARLO CALZA, Stile Giappone, Einaudi, 2002; ID, Il mondo fluttuante e le sue immagini, in "Agalma", n.6, settembre 2003; ID, Vita di città e cultura moderna, in "Giappone Potere e splendore 1568/1868", Federico Motta Editore, 2010; DONATELLA FAILLA, Ukiyoe, Un mondo d’immagini nella storia e nell’arte, in "Dipinti e stampe del Mondo Fluttuante – Capolavori Ukiyoe del Museo Chiossone di Genova", Skira Editore, 2005; ROSA CAROLI, FRANCESCO GATTI, Storia del Giappone, Laterza, 2004; ROBERTO TERROSI, Filosofie dell’acqua. Dal mondo fluttuante al postumano, in "Agalma", n.6, settembre 2003]


(Ukiyo-e e pittura occidentale)

 
(Pisana Grossi, gennaio-marzo 2010)
 

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