FROTTAGE
Invenzione
surrealista,
dovuta a Max
Ernst
(1925). Si
applica sia
al disegno
che alla
pittura.
Il
procedimento
è semplice:
si poggia un
supporto
(carta o
tela) su una
superficie
ruvida
(legno,
pietra,
tessuto,
foglie ecc)
e si sfrega
con matite,
gessetti,
pastelli,
carboncini
ecc.
Lo stesso Ernst chiarirà di aver utilizzato "tutti i tipi di materiali che
potrebbero essere nel mio campo
visivo: le foglie e le loro
nervature, i bordi sfilacciati di un
sacchetto di tela, le pennellate di
una pittura moderna, un filo di una
bobina, e così via" (1937).
Lo
sfregamento
(frottage
deriva dal
verbo
francese frotter)
fa emergere
sul supporto
delle
immagini
inaspettate
e
assolutamente
casuali,
cosicché
questo
procedimento
'automatico'
consente
l'espressione
della pura
creatività
dell'artista,
libera
L'origine del castagno (in Histoire Naturelle), 1926
Ernst ha adattato la tecnica anche ai dipinti: sulla tela, sempre poggiata su una superficie scabra, con la spatola stendeva alcuni strati di colore e poi rimuoveva quello più fresco, lasciando affiorare il sottostante (foto a destra).
Invenzione
surrealista,
dovuta a Max
Ernst (a
sinistra).
Come si
evince dal
nome, il
procedimento
consisteva
nel
raschiare
(grattare,
appunto) la
parte più
superficiale
della
pellicola
pittorica
una volta
che si era
seccata. In
questo modo
l'effetto
finale era
di casualità
(vedi pure
frottage,
decalcomania,
dripping)
ma anche di
un certo movimento.
È stata
utilizzata inoltre da Joan Mirò (a destra), in
genere in associazione con altre tecniche.
È difficile
dare una
definizione
di installazione,
poiché si
tratta di un
genere di
espressione
artistica
del tutto
particolare:
è fortemente
concettuale
e usa
materiali
diversi,
caratterizzandosi
come forma
ibrida fra
scultura,
architettura,
allestimento
(di
opere
in
una mostra),
teatro e
performance.
Si tratta
solitamente
di
un'opera
tridimensionale
formata da
elementi
diversi
installati,
cioè
collocati,
in uno
spazio con una
precisa
disposizione e che
implica il
coinvolgimento
emotivo e/o
fisico di un
osservatore.
Il termine
comincia ad
essere usato
in senso
proprio
negli anni
Settanta del
XX secolo.
Dal decennio
successivo
entrano a
far parte
stabilmente
delle
installazioni
dei
dispositivi
video
(proiezioni,
schermi
ecc).
Attualmente
si fa una
distinzione
tra
site-specific
(per
installazioni
permanenti)
e non
site
(per quelle
nate in un
contesto e
poi
presentate
in musei e
esposizioni).
Secondo i
critici le
origini
dell'installazione
vanno
ricercate in
alcune
espressioni
artistiche
delle
Avanguardie
della prima
metà del XX
secolo.
Poi negli
allestimenti
sperimentali
del
costruttivista
russo El
Lissitzky,
come
lo Spazio
Proun
realizzato
per la
Grande
Esposizione
d'Arte
di Berlino
del 1923, a
metà strada
fra
architettura
e pittura (a).
Bruce
Naumann alla 53ª Biennale d'Arte di Venezia
(2009)
Quindi in quelli
di Marcel
Duchamp,
l'inventore
del
ready-made,
ideati per alcune
mostre
surrealiste:
1938 -
una
grotta centrale con sul soffitto sacchi
di carbone
riempiti però di carta di giornale
e con porte girevoli come divisioni: un
allestimento che suggeriva un
rovesciamento della legge di gravità.
1942 - Sixteen Miles of String (b)
nella mostra newyorchese 'First
papers
of
Surrealism':
un intrico di fili (sedici miglia di spago) tesi tra
pavimento e soffitto di una sala, come
una ragnatela, che rendeva difficile la
fruizione delle opere esposte essendo lo
spazio espositivo quasi impercorribile.
1938 ma
realizzato dal 1946 al 1966 - Etant donnés
(c): gli spettatori, uno alla
volta, erano invitati ad avvicinarsi
alla porta di un fienile e a sbirciare
da un foro, oltre il quale c'era un
assemblage provocatorio con un nudo
femminile sdraiato sull'erba, le gambe
aperte e una lampada a gas in mano.
Infine, si deve ricordare l'Ambiente
spaziale a luce nera
(d) allestito nella Galleria
del Naviglio di Milano da Lucio Fontana
(5-11 febbraio 1949):
un
ambiente oscurato da luce nera (lampada
di Wood) con appeso al soffitto un
elemento di cartapesta, dalla forma
astratta e suggestiva, imbevuto di
colore fosforescente.
Invenzione
di Kurt
Schwitters,
grande
esponente di
Dada a
Berlino. Il
punto di
partenza
sono
il
collage
polimaterico
cubista e il
ready-made
di Duchamp.
Il termine
merz non
significa
nulla,
essendo nato
casualmente
ritagliando
da un
opuscolo la
parola
Kommerz-
und Privatbank
per un
collage. Schwitters
distingueva
tra Merzbild
(quadro merz)
e Merzbau
(costruzione
merz). In
entrambi i
casi egli
utilizzava
per
le sue
creazioni
oggetti di
scarto -
bottoni,
cicche di
sigarette, tappi di
bottiglia,
biglietti di
tram, carte
da gioco,
pezzi di
rete, nastri
di stoffa
.... -
trovati per
caso,
consumati,
vissuti,
avanzi della
vita
quotidiana.
●
Merzbild
- incolla su
un supporto
di legno
questi
oggetti e
materiali,
in
combinazione
con pittura
a olio. Si
crea un 'quadro'
polimaterico
e
tridimensionale
nel quale la
distinzione
tra pittura
e scultura
diventa
labile.
●
Merzbau
- con gli
oggetti crea
una specie
di 'costruzione',
articolando
in forma
concretamente
tridimensionale
l'accumulo. Il
primo, e più
celebre, di
questi assemblage a
metà strada
tra scultura
e
architettura
è l'Hannover
Merzbau
(distrutto).
Il merzbau è tra i
progenitori
dell'installazione.
Invenzione cubista.
Consiste
nell'incollare
su un
supporto
esclusivamente
frammenti di
carta (anche
da parati o da pacchi), e in questo
differisce dal
collage, che usa i materiali più
disparati.
Tradizionalmente il Piatto di frutta e
bicchiere di George Braque (1912) è
ritenuto il primo papier collé (a).
Tra gli artisti che hanno utilizzato questa
tecnica c'è Matisse, che incollava forme e
figure ritagliate in fogli carta dai colori
piatti, uniformi e molto brillanti (come La
tristesse du roi, opera del 1952,
b)
Tecniche
fotografiche
inventate
nell'ambito
delle
sperimentazioni
dada e
surrealiste
da Man Ray.
Rayografia.
Indica una foto
ottenuta con
la luce ma
senza
macchina
fotografica
(Se
volete fare
fotografie,
gettate via
la macchina
fotografica
diceva ai
suoi
allievi), un
procedimento
a suo dire
scoperto
casualmente.
La carta
fotografica
veniva posta
a contatto
degli
oggetti più
svariati ed
esposta alla
luce.
Variando la
qualità
degli
oggetti
(opacità,
trasparenza),
la distanza
dalla carta
fotografica,
la distanza
e la
posizione
delle
sorgenti di
luce si
ottenevano
effetti
diversi, con
varie
gradazioni
di toni (rayograph,
1922).
Solarizzazione.
Come spiega
lo stesso
Man Ray è "un
processo di
sviluppo in virtù
del quale i
contorni del
viso sono
accentuati
da una linea
nera come
nel disegno".
Dei notevoli
effetti che
si potevano
ottenere è
prova il
Nudo del
1931
READY-MADE
Invenzione
dada, di Marcel Duchamp.
Il termine significa "bell'e fatto", e
viene coniato da Duchamp nel 1915 anche
se il primo ready-made risale a due anni
prima. Indica un oggetto della vita
quotidiana, spesso banale, che viene
estrapolato dal suo contesto abituale e
diventa opera d'arte solo perché un
artista lo 'sceglie' e lo 'presenta'
come tale: è il caso dello
Scolabottiglie (1914), semplicemente
firmato e primo esempio di ready-made
'puro' (a). Il primo ready-made
in assoluto è invece Ruota di
biclicletta (1913), del tipo 'rettificato':
è infatti costituito da una ruota di
bicicletta fissata a uno sgabello (b).
Ecco come la racconta lo stesso Duchamp:
"Già nel 1913 ebbi la felice idea di
montare una ruota di bicicletta su uno
sgabello di cucina e di osservarla
mentre girava. [...] A New York
nel 1915 comprai in un negozio di
ferramenta una pala per spalare la neve,
sulla quale scrissi 'in previsione di un
braccio rotto'. Circa in quell'epoca mi
venne in mente la parola ready-made per
definire questo genere di lavori".
a
b
Col ready-made l'idea di arte come
produzione di opere viene negata. Ma c'è
di più. La realtà non entra
semplicemente nell'opera d'arte (come
nel
collage e connesse tecniche
polimateriche) ma 'coincide' con l'arte:
dalla rappresentazione (per mezzo
di una qualunque tecnica) si passa alla
presentazione
(l'oggetto
stesso). E poiché è la scelta operata
dell'artista che determina la nuova
condizione dell'oggetto, sottratto alla
sua funzione pratica originaria, la
dimensione ideativo-concettuale prevale
decisamente su quella
tecnico-esecutiva.
c
Il
ready-made ha avuto parecchio successo
tra i dadaisti, per tutti Man Ray.
Ma è
stato lo spunto anche per altre
espressioni artistiche, sempre
provocatorie e dissacratorie. Ad
esempio, la celebre Merda d'artista
di Piero Manzoni (c). Il 21
maggio 1961 l'artista ha sigillato le
proprie feci (ma il suo amico Agostino
Bonalumi ha dichiarato che si tratta
solo di gesso) in 90 barattoli, numerati
ed etichettati in quattro lingue
(italiano, inglese, francese e tedesco): merda d'artista -
contenuto netto gr.30, conservata al
naturale, prodotta ed inscatolata nel
maggio 1961. I barattoli sono
conservati in vari musei;
il 23 maggio 2007 Sotheby's, a Milano,
ha battuto l'esemplare numero 18 a
124.000 euro.
Forma
espressiva
nella quale
l'opera si
identifica
con l'azione
e/o
rappresentazione
di uno o più
artisti.
Nella
performance
il corpo
svolge una
funzione
centrale, ma
sono
importanti
anche la
relazione
con il
pubblico, il
luogo
(spazio) e
la durata
(tempo)
dell'evento
performativo.
Per le sue
caratteristiche,
si propone
come
ibridazione
di generi,
primi fra
tutti il
teatro e la
danza.
Comincia a
definirsi e
affermarsi
negli anni
Sessanta del
XX secolo
con Allan
Kaprow, che
teorizza l'happening
come 'action
collage',
cioè
dell'artista
e del
pubblico che
interagiscono
fra di loro.
Tra i primi
performer
occorre
ricordare
Joseph Beuys,
che
introduce il
concetto di
'scultura
sociale'.
I precedenti
diretti
della
performance
art si
rinvengono,
ancora una
volta, nelle
esperienze
sperimentali
delle
Avanguardie
della prima
metà del XX
secolo.
Prima di
tutto nelle
serate
futuriste,
cioè gli
spettacoli
(il primo al
Teatro
Chiarella di
Torino l'8
marzo 1909)
nei quali il
pubblico
veniva
intrattenuto
in modo a
dir poco
provocatorio,
tanto che spesso
si
concludevano
con
l'intervento
della
polizia per
sedare le
risse fra
gli artisti
e gli
spettatori
arrabbiati.
Si trattava
di "una
combinazione
di teatro,
concerto,
riunione
politica,
dibattito e
tumulto
[...]
poteva
comprendere
un'esposizione
di quadri,
la
declamazione
di
manifesti, i
gemiti e gli
stridori
degli 'intonarumori'
di Russolo,
gemme del
teatro di
varietà
futurista e
altri
reciproci
[col
pubblico]
insulti" (C. Tisdall - A. Bozzolla,
Futurismo, Milano 1988, pp.
12-13).
Performance di Michelangelo Pistoletto alla
53ª Biennale d'Arte di Venezia
E poi nelle
serate
dadaiste
(debitrici di quelle futuriste), la
prima delle quali si svolse al
Cabaret Voltaire di Zurigo il 14
luglio 1916. Queste serate
prevedevano
la
declamazione
di poesie
onomatopeiche
e
Umberto
Boccioni,
Serata
futurista,
1911
la lettura
simultanea
di poemi
in
lingue
sconosciute,
magari
ad opera
di
'poeti'
mascherati
con
costumi
di
cartapesta;
e
inoltre
musiche
popolari
ed
etniche,
rumori,
danze
esotiche
e balli
tradizionali.
Ma
lasciamo
la
parola a
uno dei
protagonisti,
Hans Arp:
"Sul
palcoscenico
di una
taverna
sgangherata
e
affollata
stanno
diverse
e strane
figure
che
rappresentano
Tzara,
Janco,
Ball,
Huelsenbeck,
Madame
Hennings
e il
vostro
umile
servitore.
Pandemonio
totale.
La gente
intorno
a noi
urla,
ride,
gesticola.
Le
nostre
risposte
sono
sospiri
d'amore,
raffiche
di
singhiozzi,
poemi,
versi e
il
miagolare
dei bruitists
medievali.
Tzara
sculetta
come il
ventre
di una
danzatrice
orientale.
Janco
sta
suonando
un
invisibile
violino,
si piega
ed
emette
stridii.
Madame
Hennings
con un
volto da
madonna
sta
facendo
la
spaccata.
Huelsenbeck
sta
martellando
incessantemente
sul
grande
tamburo
accompagnato
da Ball
al
piano,
pallido
come un
fantasma
gessoso".