La pittura su supporto
mobile esiste da millenni, ma le testimonianze più antiche sono
andate quasi completamente perdute a causa della
deperibilità del materiale usato: si trattava infatti di pittura
su tavole di legno. Tra gli scarsi esempi conservati ci
sono i cosiddetti
ritratti del Fayum, di epoca romana. Dal XV
secolo al legno si è affiancata la tela che,
progressivamente, ha finito con il prevalere. Questi sono i
supporti prevalenti, ma esistono esempi di pittura su altri
materiali, come marmo e rame.
Sia il legno che la tela venivano preparati prima della stesura del colore,
che poteva essere trattato secondo diverse modalità, mescolando
i pigmenti (coloranti di origine minerale, vegetale o animale,
polverizzati) con leganti di vario tipo, cosicché si parla di
tecnica a
encausto, a tempera, a olio.
A)
IL SUPPORTO
A.1 - Legno
Una serie di ritratti di epoca romana (I-III secolo d.C.)
trovati in Egitto sono
stati realizzati su vari tipi di legno, come abete, cedro,
quercia, sicomoro; la stesura pittorica era con colori
a encausto
o
a tempera.
In epoca medievale si usavano di preferenza il legno di pioppo
in Italia ed Europa meridionale, il legno di quercia in Europa
settentrionale. Il termine "tavola" è per noi sinonimo di
'pittura eseguita su un supporto di legno' (Rubata in una
chiesa una preziosa tavola del Duecento), ma una tavola
nasceva da una lunga preparazione.
Il legno era trasformato in assi, accuratamente lisciate. Le
dimensioni desiderate della tavola da dipingere si ottenevano
unendo due o più assi con varie procedure (perni di legno,
chiodi, colla ecc), operando nella parte posteriore del
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supporto; per renderla più solida, e meglio trasportabile, la
tavola poteva venire fissata su un'intelaiatura di
travi. Nella parte anteriore, le giunture tra le
assi venivano nascoste con strisce di lino o
pergamena.
E non era finita.
Sulla tavola si
stendevano vari strati di gesso e colla (fino a
otto), ciascuno dei quali accuratamente lisciato una
volta asciutto; sull'ultimo strato, infine, si
passava un velo di colore
a
tempera, neutro. Questa base si chiamava imprimitura.
Su di essa veniva eseguito il
disegno preparatorio,
preliminare alla stesura del colore.
Nelle tavole medievali la stesura pittorica era
preceduta dalla
doratura
di sfondi, aureole,
ornamenti (abiti, gioielli, corone ecc) e cornici.
Sottilissime foglie
d’oro (preparate dai cosiddetti "battilori"
con la battitura del metallo fra due strati di pelle
e ritagliate nella forma richiesta dal disegno
preparatorio) venivano fissate alla superficie della
tavola, sulla quale già era stato steso del mordente
o del bolo (terra mescolata con chiara d’uovo
montata a neve). Le foglie in questo modo aderivano
perfettamente.
La stesura
pittorica era con colori
a
tempera
o
a
olio. |
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Simone Martini, San Ludovico di Tolosa, ca
1317
tempera su tavola (Napoli, Museo di Capodimonte) |
A.2 -
Tela
I pittori veneti del Rinascimento sostituiscono
al legno un tessuto, prevalentemente di lino o
canapa: è quella che si chiama "tela". Anche
questo supporto necessitava di una preparazione:
strati successivi di colla e gesso, che venivano
raschiati con una spatola; alla fine, uno strato
di colore scelto in base alle tinte che il
pittore pensava di usare nella stesura
pittorica.
La tela è un supporto più flessibile
del legno,
il pennello si muove più velocemente e le
caratteristiche della tessitura (maglie più o
meno compatte, in diagonale, a spina di pesce ecc)
condizionano l'effetto finale
della pittura. È ideale per i colori
a olio.
B) LA STESURA
PITTORICA
B.1 - a
encausto
Tecnica molto usata nell'antichità.
I pigmenti venivano mescolati con
cera d'api, il composto veniva
sciolto e, ancora caldo, steso su un
supporto di
legno (non di rado preparato con
gesso o con lino indurito con colla
animale); in base alle esigenze, si
potevano aggiungere al composto
resina (come il mastice di Chio),
uovo o olio di semi di lino. Per
stenderlo si utilizzavano sia
pennelli (con la punta usata calda o
fredda) sia spatole.
L'effetto finale è quello di una
pellicola pittorica compatta e
brillante; e anche piuttosto
resistente.
Poiché la pittura 'da cavalletto'
greca antica è andata perduta,
tant'è che noi conosciamo opere e
autori solo attraverso le fonti
scritte e le copie di epoca romana
(dipinti murali e mosaici), questa
tecnica è documentata soprattutto da
una serie di dipinti di epoca
imperiale romana (I-III secolo d.C.). Si tratta di
'ritratti funerari' scoperti in
Egitto, dove le particolari
condizioni climatiche ne hanno
permesso la conservazione. Molti di
questi provengono dall'oasi del Fayum, che si trova a occidente
della valle del Nilo (a circa cento
km a sudovest del Cairo), per questo
sono conosciuti come
ritratti del Fayum. Ma è una
definizione non più accettabile
perché i ritrovamenti, sparsi in
molte località dell'Egitto, indicano
che si trattava di una produzione
diffusa in tutto il Paese.
Dal XVIII secolo artisti e studiosi,
affascinati dalla brillantezza e
inalterabilità dei colori, hanno
cercato di riprodurre questa antica
tecnica.
Ritratto dal Fayum,
inizi del II secolo
(Santa Monica, Getty Museum) |
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La pittura ad encausto deve essere
distinta dalla
cosiddetta encausticazione, un
procedimento molto usato, ad esempio, sulle
pitture parietali di Pompei.
Sembra, infatti, che quelli pompeiani
non siano dei veri
affreschi e che i colori venissero
stesi sull'intonaco asciutto.
L'eccezionale vivezza cromatica
deriverebbe perciò, oltre che dalla
perizia nell'esecuzione del dipinto,
dall'uso di stendere sulla pittura
murale realizzata della cera fusa
stemperata con dell'olio (ecco perché 'encausticazione').
Non solo. La superficie veniva lucidata
con dei panni asciutti, ottenendo il
duplice effetto di rendere lucenti i
colori e di proteggerli.
Fregio dionisiaco (?), I secolo
d.C.
(Pompei, Villa dei Misteri) |
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B.2 - a tempera
Questa tecnica pittorica,
utilizzata ancora oggi, ha radici antiche: molti
dei cosiddetti
ritratti del Fayum, dipinti su tavola di
epoca romana, sono realizzati a tempera. Genericamente per "tempera" si
intende un composto ottenuto unendo il
pigmento colorato con leganti, cioè sostanze
come uovo, lattice di fico, cera, colla, tutte solubili in acqua.
Naturalmente il tipo di composto varia nei
secoli, ma il principio è il medesimo nel tempo.
E nel tempo varia anche il modo di stenderlo: ad
esempio, nella seconda metà del Quattrocento si
usa la velatura, con strati di colore
molto diluiti sovrapposti.
Con il diffondersi della pittura
a olio, dal XVI secolo, l'uso della tempera
diventa sempre più rarefatto; verrà 'riscoperta'
agli inizi del XX secolo.
B.3 -
a olio
Tecnica che consisteva nel miscelare i pigmenti
colorati (di origine animale, vegetale o minerale)
con oli grassi essiccanti: di lino, di noce, di
papavero. Le caratteristiche di luminosità, fluidità
e trasparenza, tipiche della miscela ottenuta,
potevano venire accentuate aggiungendo altri
componenti, come l'essenza di trementina.
L'essiccazione avveniva lentamente, consentendo
correzioni e variazioni in corso d'opera. A pittura
ultimata, si stendeva una vernice protettiva. Era
usata sia sul legno che sulla tela,
supporti opportunamente preparati a ricevere la
stesura pittorica.
Giorgio Vasari, artista e teorico del
Cinquecento, ne attribuisce l'invenzione al pittore
fiammingo Jan van Eyck. In realtà le fonti scritte
(ad esempio Plinio, Teofilo, lo pseudo Eraclio)
indicano che fin dall'antichità si
usavano colori mescolati con olio, e quindi è
probabile che nelle Fiandre del XV secolo questa
tecnica sia stata semplicemente perfezionata; da lì si è
poi diffusa in Italia
grazie
ad Antonello da Messina.
La sua
adozione privilegiata a partire dal XVI secolo deriva
dalla sua estrema duttilità, che consente affetti
pittorici di grande varietà a seconda della diluizione
della miscela
(come le velature di Leonardo o le pennellate
a corpo di Rubens). |
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Le velature sono sottilissimi
strati di colore, molto diluito, stesi
progressivamente sugli strati precedenti già asciutti,
in modo da lasciarli trasparire. Danno effetti
di luminosità e morbidezza atmosferica. |
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Effetti di brillantezza e intensità
cromatica si
ottengono con pennellate
a corpo, che
distribuiscono
colori corposi, spessi e coprenti. |
Leonardo, Vergine delle rocce,
olio su tavola,
1483-86 (Parigi, Louvre) |
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P. P. Rubens, Giuditta e Oloferne, olio
su tela,
1626 (Firenze, Uffizi - Deposito) |
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C) L'INNOVAZIONE TECNICA DEL XIX SECOLO
Nel XIX secolo il modo di usare i
colori a olio cambia. L'industria chimica
produce nuovi olii sintetici, che
ampliano enormemente la gamma cromatica a
disposizione dei pittori (dopo la casuale, e
perciò isolata, scoperta del blu di Prussia
nel 1704). Non solo i colori non devono essere
più preparati manualmente, ma vengono conservati
in pratici tubetti di metallo, brevettati
in Inghilterra nel 1843. E vengono messe in
vendita tele già fornite dell'imprimitura.
Le novità tecniche finiscono per incidere sugli
aspetti più squisitamente formali della pittura.
Gli artisti, liberati dalle mansioni più
pratiche della loro attività, possono uscire
dagli studi,
e andare a dipingere all'aperto (en
plein air), a |
diretto contatto
con la natura. E le componenti
tradizionali - il disegno, la
prospettiva, il chiaroscuro -
vengono abbandonate, in funzione di
una rappresentazione più immediata
della realtà, e di una diversa
percezione dei valori cromatici in
relazione alla luce naturale.
Il cambiamento più evidente è
l’abbandono della forma modellata
attraverso il chiaroscuro,
ottenuto con l’alternanza di luci e
ombre - graduale come nello
sfumato leonardesco o fortemente
contrastata come in Caravaggio – e
con la mescolanza dei colori, sulla
tavolozza o sul supporto.
In particolare, gli
impressionisti utilizzano colori
puri, non mescolati ma giustapposti
sulla tela tramite pennellate
rapide, spezzate, che suggeriscono
la forma attraverso macchie colorate
(ombre comprese, rese non più con il
nero, abolito) più che descriverla,
con un effetto di “abbozzo”, di non
finito: la fusione cromatica avviene
nella retina dello spettatore, che
integra l’immagine.
Il colore
finisce così per acquistare una sua autonomia
rispetto alla forma, diventando protagonista del
quadro. E questo avrà conseguenze
importantissime per lo sviluppo della pittura
successiva, favorendo agli esiti astratti di
Kandinskj. |
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Claude Monet, Covone di fieno a
Giverny,
olio su tela, 1886
(San Pietroburgo - Hermitage) |
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(Giulia Grassi, aprile 2009) |
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