Home       |       Pub e arte       |       Elogio della citazione       |       Pub e ...altro       |        Schede didattiche        |       Area Studenti

 

SCHEDA DIDATTICA 19

 
LA PITTURA ORIENTALISTA
(prima parte)

 

 

 
F.D. MILLET, Turkish Water Seller, 1874
Con il termine Orientalismo si indica un fenomeno intellettuale e artistico che interessa eminentemente il XIX secolo, dapprima in Europa e poi negli Stati Uniti (foto a sinistra).
Il suo inizio viene fatto coincidere con la spedizione napoleonica in Egitto nel 1798, mentre al suo consolidamento contribuirono una serie di eventi quali la guerra di indipendenza della Grecia dall'Impero Ottomano (1821-1830) e la conquista francese dell'Algeria (1830), espressione dell'espansione coloniale europea nel nord Africa. Il suo declino, per molti critici, iniziò nel 1869 con l'apertura del canale di Suez, che avvicinando al mondo occidentale l'Oriente gli tolse la sua carica di mistero (anche se gli ultimi epigoni operano fino agli anni Venti del XX secolo). Parallelamente l'Europa si apriva alle suggestioni dell'Estremo Oriente, particolarmente all'arte giapponese che influenzerà in modo decisivo la pittura della seconda metà dell'Ottocento (in Alipes vedi Il Giapponismo).
 
L'Oriente degli Orientalisti ha un ambito spazio-temporale ben delimitato, sostanzialmente quello dell'Impero Ottomano, che al massimo della sua espansione si estendeva dall'Asia Minore all'Africa settentrionale, dal Vicino Oriente ai Balcani e che, proprio nel corso del XIX secolo, vide progressivamente ridursi i territori su cui esercitava il proprio dominio.

Temi ricorrenti nella pittura orientalista erano i bazar animati e i vicoli affollati delle città levantine e nord-africane, il deserto, le carovane di cammellieri, le moschee e i riti dell'Islam, i paesaggi con antiche rovine, il Nilo, la Terra Santa, l'harem, l'hamam / bagno turco e 'esotici' aspetti della vita politica e sociale (matrimoni, mercato degli schiavi, esecuzioni capitali, battaglie...); un mondo vitale, colorato e 'pittoresco' di beduini, dervisci,
  acquaioli, fumatori di narghilè, predoni, mercanti, venditori ambulanti, muezzin, feroci cavalieri e sensuali odalische.
 
È importante sottolineare che "
l’Orientalismo non fu una scuola, perché i legami tra le opere si trovano nell’iconografia, piuttosto che nello stile" (Thornton): quindi i singoli artisti si esprimevano in relazione alle varie tendenze figurative, accademiche e non, che si sono dispiegate nell'arco di tempo in cui il fenomeno si è affermato.
È comunque un dato di fatto che per molti il viaggio fu l'occasione per rivedere le proprie concezioni sulla luce, in particolare dopo avere sperimentato il biancore accecante del sole nel deserto. Chiarificatrici, in tal senso, le parole di Eugène Fromentin: "prima d'ora nessuno, per quanto ne so, si era dovuto preoccupare di ingaggiare una battaglia con questo ostacolo tremendo, il sole, né avrebbe potuto immaginare che l'artista, con i limitati mezzi di cui dispone, avrebbe dovuto accettare e vincere la sfida dell'eccessiva luce solare, intensificata dallo spazio senza confini del deserto".

Infine, occorre chiarire che molti pittori dipinsero scene 'orientali' senza essere 'orientalisti' in senso stretto. E che nella rappresentazione del variegato mondo orientale si possono individuare due filoni prevalenti: l'uno degli artisti che cercavano di renderlo più familiare agli occhi degli occidentali, ad esempio attraverso un parallelo con il mondo antico, l'altro di coloro che ne sottolineavano l'alterità, la distanza, attraverso la prevalenza di elementi insoliti e particolarmente esotici (cioè stranieri, dal greco
eksōtikós).
E. Fromentin, Accampamento arabo sull'Atlante
 

Si tratta, in poche parole, di un fenomeno estremamente complesso (*). Molti artisti viaggiarono effettivamente in Oriente ('pittori-viaggiatori') e quindi i loro quadri nascono da un'esperienza diretta (è il caso, ad esempio, di Delacroix e Gérôme); ma altri no, e quindi l'Oriente rappresentato sulle tele è una proiezione della loro fantasia, un mondo soltanto immaginato o desiderato (ad esempio, Ingres e Moreau). Inoltre il viaggio in Oriente, reale o anche 'virtuale', è stato non di rado "l'occasione per una ricerca di sé, un luogo mitico di tutte le possibili realtà" (Benedetti), lo stimolo per un viaggio interiore.
Quella che segue non può che essere una breve sintesi, ad uso didattico, di questo complesso e variegato mondo visivo.
 
L'Orientalismo ottocentesco ha le sue radici nel secolo precedente. Il Settecento, infatti, aveva visto una larga diffusione delle cineserie (la cui moda si era esaurita intorno al 1770) e delle turcherie, da intendersi
però soprattutto come tendenze decorative, legate alla curiosità per ciò che si percepiva come stravagante in quanto esotico più che a motivazioni di carattere conoscitivo o emotivo.
La moda delle turcherie aveva influenzato molto l'abbigliamento, la musica (per tutti, Il Ratto dal Serraglio di Mozart, del 1781), la letteratura (per esempio, le Lettere persiane di Montesquieu, del 1721).
Nella pittura, al di là delle citazioni decorative di un Tiepolo o di un Boucher, l'esponente più significativo è Jean-Etienne Liotard (1702-1789). Amico di Voltaire, aveva vissuto alla corte di Mahmud I a Costantinopoli (1738-1742), dove aveva ritratto visir, dignitari ed eunuchi dell'harem; e, subito dopo, in Moravia alla corte di Costantino Mavrocordato. Tornato in Europa, girava per le corti indossando il caffettano turco e il berretto di pelliccia dei moldavi (dai quali mutuò anche la lunga barba). E dipingendo aristocratici e intellettuali in abiti esotici (e altro ancora), amato e disprezzato con pari intensità (foto a destra).
 

     

                         Autoritratto, 1744                                             Giovane donna che legge in costume orientale, 1750-53
  
La spedizione napoleonica in Egitto (1798-1799)
 
Tradizionalmente l'avvio del filone orientalista in senso proprio viene attribuito a Antoine-Jean Gros (1771-1835) e Anne-Louis Girodet Trioson (1767-1824), chiamati a documentare la spedizione napoleonica in Egitto.
Napoleone, è noto, sbarcò in Egitto con due eserciti: uno di soldati e uno "formato da studiosi competenti nei campi più disparati (dalla mineralogia ai dialetti arabi) e da uno stuolo di abili disegnatori che avevano il compito, spesso difficile e pericoloso, di copiare e disegnare tutto ciò che di interessante poteva loro capitare" (Pernigotti). Tra di loro c'era anche Dominique Vivan Denon, che nel 1802 pubblicò Voyage dans le Basse et la Haute Egypte, con bellissime tavole (click), tradotto rapidamente nelle principali lingue europee (compreso l'italiano). L'Egitto reale veniva così portato alla conoscenza dell'Europa.
"Rappresentando avvenimenti militari, condottieri alteri e feroci" Gros e Girodet-Trioson sostituirono "alla leggerezza delle 'turqueries' settecentesche il senso epico-drammatico di uno scontro in atto. Un Oriente favoloso e terribile fa il suo ingresso al Salon" (
Benedetti). Eppure nessuno dei due visitò personalmente l'Oriente (causa il blocco navale inglese del Mediterraneo) e quindi le ambientazioni dei loro quadri sono 'ricostruite' con la fantasia, anche se in parte basate sui racconti dei viaggiatori. Il loro è quindi un Oriente immaginato, misterioso e feroce, dai colori intensi e con immagini piene di impeto.
 

A.J. Gros, Napoleone visita gli appestati di Jaffa , 1804

 
 

L'Oriente romantico
 
L'Oriente dei romantici è in genere caratterizzato da paesaggi trasfigurati dall'immaginazione, idealizzati anche quando visti dal vero, scene animate da un'umanità vitale e, talora, selvaggia, quasi un mezzo per esprimere l'esigenza di liberarsi da qualunque costrizione, sociale e artistica. Un Oriente favoloso, un 'altrove' che si configura come "un luogo dell'anima" più che come un luogo geografico, cosicché l'aver visitato effettivamente

  quelle esotiche terre appare tutto sommato ininfluente.

Ad alcuni fu sufficiente un unico, breve soggiorno. È il caso di Théodore Chassériau (1819-56) o di Eugène Delacroix (1798-1863). Già prima del suo soggiorno in Marocco (prima metà del 1832) Delacroix aveva dipinto quadri 'esotici' come La morte di Sardanapalo, tratto da un dramma di Byron e presentato con grande scandalo al Salon del 1827 (a sinistra). Raffigura Sardanapalo che trascina nel rogo del suo suicidio tutto ciò che era suo e gli aveva dato piacere (gli oggetti preziosi, le concubine, i servi, perfino i cavalli e i cani favoriti), in un vorticoso sovrapporsi di nudi sensuali e di sangue (le donne e gli animali sgozzati) in un ambiente che trasuda lusso, arbitrio e vizio. Il quadro venne percepito come un'orgia sfrenata, un vero e proprio oltraggio alla decenza; ma anche come una sfida alle regole della composizione pittorica. Per la sua impostazione antiaccademica Delacroix veniva infatti definito "un selvaggio, un barbaro, un maniaco, un rabbioso, un folle".
 
Il suo viaggio in Marocco sarà l'occasione per verificare la corrispondenza tra questo Oriente immaginato e quello reale, che rimarrà come suggestione riaffiorando nella sua produzione successiva. Da questo viaggio nasce Donne d'Algeri nei loro appartamenti (vedi), ricordo della visita di un harem, nel quale cerca di rendere la vibrazione della luce attraverso i colori, che brillano intensi emergendo dall'ombra.
Quella luce che tanto lo aveva colpito nelle sue peregrinazioni tra le vie di Tangeri, una esperienza emozionante che la maestria del grande scrittore Tahar
Ben Jelloun così ha immaginato in una lettera 'impossibile' scritta al pittore "... Ti  immagino in quell'inizio del 1832: un giovanotto elegante e riservato che lascia il suo studio di rue de Fossé Saint-Germain voltando le spalle a una luce contenuta, impedita di esplodere da un cielo grigio e basso, una luce breve e smunta cui i parigini finiscono per abituarsi. Esci da quel quartiere e ti trovi qualche giorno dopo inondato da una luce così viva, così piena e addirittura brutale che ne sei sconvolto. E non c'è solo questo chiarore soverchiante, c'è anche la natura, i colori e i profumi dell'erba, degli alberi, dei fiori, del mare... Sei altrove, hai varcato la frontiera dell'immaginario" (letta alla Milanesiana, il 24.06.2004).
 
L'alterità caratterizza anche la pittura di Horace Vernet (1789-1863), che viaggiò in Marocco, Egitto, Siria e Palestina. Il suo è un Oriente a tinte forti, luogo di feroci battaglie e di despoti crudeli, come nel quadro Il massacro dei Mamelucchi nella  
cittadella del Cairo (1819), nel quale rappresenta uno degli episodi più sanguinosi che segnarono il governo del viceré ottomano d'Egitto Mehemet-Ali.

È, in ogni caso, il luogo di una passione profonda, come testimonia la cd Camera turca di Villa Medici, a Roma, realizzata nel periodo in cui fu direttore dell'Accademia di Francia (1829-34). In una delle torrette della facciata del palazzo Vernet creò un frammento di impero ottomano nel cuore di Roma, una piccola stanza dipinta con arabeschi, motivi vegetali e uccelli esotici svolazzanti (opera sua), porte e finestre di legno intagliato di gusto 'moresco'.
Un luogo della memoria che più di un secolo dopo verrà dipinto dall'allora direttore dell'Accademia Balthus, nel suo quadro del 1966 La camera turca (click).

Camera turca
 
 
Non misero mai piede in quelle lontane contrade né Ingres né Hayez, come Delacroix non orientalisti in senso stretto. Il loro è un Oriente fantastico, alimentato dalle parole degli scrittori e dei 

viaggiatori: i Racconti turchi di G.G. Byron, Le Orientali di V. Hugo, L'itinerario da Parigi a Gerusalemme di F.R. de Chateaubriand (per citarne alcuni).
 
Così Jean-Auguste Dominique Ingres (1780-1867), artista di decisa formazione classica ma con venature romantiche, dà vita a un mondo di sensuali odalische (Grande odalisca, click; Bagno turco, click; Odalisca con schiava, 1839, a destra), nei cui corpi languidi e carnali rivive la Venere del mito classico peraltro sottoposta a una rigorosa ricerca di purezza formale.

Così Francesco Hayez (1791-1882), il maggiore pittore romantico italiano, proietta i suoi soggetti biblici su scenari orientali, permeati di sensualità e sottile malinconia (Ruth, 1835).

INGRES

HAYEZ

  
* Sul fenomeno dell'Orientalismo, in particolare nelle sue implicazioni politiche e ideologiche, si registra nell'ultimo trentennio un acceso dibattito innestato dal controverso studio di E. W. SAÏD, Orientalism, 1978 (1ª ed. it. Orientalismo, Feltrinelli 1999; 2ª ed. it. Orientalismo. L'immagine europea dell'Oriente, Feltrinelli 2002). Tra i contributi italiani alla discussione da ultimo il volume a cura di M. MELLINO, Post-orientalismo. Said e gli studi postcoloniali, Meltemi 2009, con saggi nei quali si fa il punto della questione.
 
- BIBLIOGRAFIA:
S. PERNIGOTTI, La fortuna dell'antico Egitto, in Archeo, VIII/9 (103), settembre 1993, pp. 60-97.  L. THORNTON, Les orientalistes, peintres voyageurs, 1828-1908, Paris 1996; C. COCO, Harem. Il sogno esotico degli occidentali, Verona 1997; M.T. BENEDETTI, Magie d'Oriente, in Ars, II/10 (11), ottobre 1998, pp. 93-103; A. ZANELLA, Trionfo e declino dell'Orientalismo, ibidem, pp. 104-109;  R. BOSSAGLIA (a cura di), Gli orientalisti italiani. Cento anni di esotismo, 1830-1940, catalogo della mostra (Torino, Palazzina di Stupinigi, 13 settembre 1998 - 10 gennaio 1999), Venezia 1998; H. EDWARDS (a cura di), Noble Dreams, Wiched Pleasures. Orientalism in America, 1870-1930, Princeton University Press 2000 (catalogo di una mostra itinerante).
- SITOGRAFIA: Les peintres orientalistes, con elenco geografico degli artisti; Orientalist Art of the Nineteenth Century, con un link di bibliografia e fonti on-line.

(seconda parte)

 
(Giulia Grassi, luglio-settembre 2010)
 

 

Presentazione     |      Chi siamo      |     Sito- Bibliografia    |     Indice artisti & opere     |      Matdid      |      Link      |     Contatti