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SCHEDA DIDATTICA 22

 
LA TEORIA ARTISTICA NEL XVIII SECOLO
(prima parte)

 
 
WINCKELMANN Piccolo glossario di concetti teorici e categorie critico-estetiche utili alla comprensione e interpretazione dell'opera d'arte e definiti dal punto di vista teorico nel XVIII secolo anche se, in alcuni casi, come sviluppo e sistematizzazione di riflessioni precedenti. Nel Settecento l'arte è oggetto, come mai prima di allora, di ricerche, discussioni e teorizzazioni che influiranno anche sul pensiero dei secoli successivi. È in questo periodo che l'Estetica viene teorizzata come disciplina filosofica specifica dell'arte; che nascono la critica d'arte moderna e la storia dell'arte come disciplina autonoma mentre, parallelamente, dilettanti e conoscitori, filosofi e artisti discutono animatamente di bello, gusto, pittoresco, immaginazione, genio e sublime. Non a caso siamo nel secolo dei lumi della ragione e dell'Encyclopédie.
 
(Per grandi linee e in ordine alfabetico, per una più agevole consultazione da parte degli studenti. In due parti).

KANT


 
BELLO (&
BELLO IDEALE)

Il concetto di bello è uno dei più ricorrenti nel dibattito filosofico del Settecento, anche se non si tratta di un concetto nuovo: è presente, infatti, nel pensiero greco antico (Platone, Aristotele), come intimamente connesso con l'idea di bene: kalòs kai agathós / bello e buono (vedi
in Alipes: kalokagathia). Dall'antichità deriva anche l'idea che il bello sia associato con l'ordine, la simmetria, la proporzione, l'armonica corrispondenza delle parti; idea alla base della trattatistica tra XVI e XVII secolo.

Nel XVIII secolo un filone filosofico ripropone questa visione, di carattere razionale, per cui "il bello è il métron-métrion-kairós di Platone, l'ordo, junctura, numerus di Quintiliano, il numerus, mensura pondus della Scolastica, [...] l'armonia, ordine, proporzione di Shaftesbury [...], la regolarità, l'uniformità nella varietà di Hutcheson [...]. Il bello è una dote oggettiva del creato colta dalla nostra ragione". Accanto a questa visione, ce ne era
però anche un'altra, quella "soggettiva ed empiristica delle sensazioni e dei sentimenti: come tale, 'la bellezza non richiede alcuna assistenza della ragione'. Era legata a una particolare scelta del gusto che si sviluppò per tutto il secolo, dall'Arcadia al Rococò [...]; è la nozione del bello come piacevole, come inclinazione e soddisfazione edonistica, seduzione dei sensi, vitalità, festa, gaiezza, voluptas, capriccio [...]. Il bello è sempre sensuale, delicato, minuto, nitido, morbido, curvilineo" (Morpurgo-Tagliabue, 1996).
 
Nell'ambito del Neoclassicismo si afferma poi la poetica del
BELLO IDEALE, legata al nome di Johann Joachim Winckelmann ed espressa in particolare nelle opere Pensieri sull'imitazione dell'arte greca nella pittura e nella scultura (Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in Malerei und Bildhauerkunst, 1755) e Storia dell'arte nell'antichità (Geschichte der Kunst des Altertums, 1764).
Anche questo è un concetto che già altri prima di lui avevano elaborato, in particolare Giovan Pietro Bellori, "il quale apre il suo volume,
Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, con il famoso discorso sull’Idea, tenuto all‘Accademia di San Luca la terza domenica di maggio del 1664 [...] Come è noto, in questo testo Bellori ratifica, grazie alla sua autorità di illustre antiquario e cultore dell’arte, la superiorità della bellezza ideale, rispetto sia alla pedissequa imitazione del reale sia alla sfrenata libertà fantastica" (Di Stefano, 2007). Ma che Winckelmann inserisce in una architettura teorica complessiva che fa di lui, tra l'altro, l'iniziatore della moderna
storia dell'arte.
















Annibale Carracci, Trionfo di Bacco e Arianna, Palazzo Farnese

L'assunto di base è che la bellezza nell'arte non possa essere ottenuta semplicemente guardando alla natura, e imitandola passivamente, perché la natura raramente è perfetta ed esente da difetti. Occorre perciò effettuare una selezione, cogliendo il bello disperso in essa e proponendone una sintesi ideale, in modo da raggiungere un Bello assoluto e oggettivo, l’unico che può sfidare il tempo e tendere all’eternità. Per ottenere questo risultato bisogna inoltre prendere a modello le statue antiche, perché già i Greci avevano affrontato e risolto questo problema, raggiungendo la sintesi tra Bello, Vero e Buono (in Alipes: Doriforo di Policleto). Strettamente correlato al concetto di Bello ideale è quindi quello di imitazione.

Scrive Winckelmann: "
La natura e la struttura dei corpi più belli raramente sono prive di difetti, anzi hanno forme e particolari che potremmo scoprire o concepire più perfetti in altri corpi, e in base a questa esperienza ogni artista sapiente si comportava come un abile giardiniere che innesta su un fusto diversi margotti delle migliori qualità; e come l'ape sugge da molti fiori, così i concetti del bello non rimasero circoscritti alla singola bellezza individuale, [...]; bensì gli antichi cercarono di operare una sintesi di tutto ciò che vi era di bello in molti bei corpi. Essi purificarono le loro immagini da ogni gusto personale, che distoglie il nostro spirito dalla vera bellezza" (Storia dell'arte nell'antichità).
Quindi "
L'imitazione del bello nella natura o si attiene a un solo modello o è data dalle osservazioni fatte sui vari modelli riunite in un soggetto solo. Nel primo caso si fa una cosa somigliante [...] Nel secondo caso invece si prende la via del Bello universale e delle immagini ideali di questo bello; ed è questa la via che presero i greci"
(Pensieri sull'imitazione dell'arte greca nella pittura e nella scultura).

Punto di riferimento è un aneddoto sul pittore del IV secolo a.C. Zeusi, già citato da Leon Battista Alberti (De pictura
, III, 1435-36): "Zeusis, prestantissimo e fra gli altri essercitatissimo pittore, per fare una tavola qual pubblico pose nel tempio di Lucina appresso de’ Crotoniati, non fidandosi pazzamente, quanto oggi ciascuno pittore, del suo ingegno, ma perché pensava non potere in uno solo corpo trovare quante bellezze egli ricercava, perché dalla natura non erano ad uno solo date, pertanto di tutta la gioventù di quella terra elesse cinque fanciulle le più belle, per torre da queste qualunque bellezza lodata in una femmina. Savio pittore [...]".

Infine, il Bello si accompagna alla semplicità ma anche alla serenità, alla quiete, al controllo delle emozioni:
"Il generale e principale carattere dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza [edle Einfalt und stille Größe] tanto negli atteggiamenti quanto nell'espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l'espressione delle figure greche, per quanto agitate dalle passioni, mostra sempre un'anima grande e posata" (Storia dell'arte nell'antichità).

Espressione emblematica di questa concezione è Antonio Canova. Attraverso molteplici fasi esecutive - disegno, bozzetto in argilla, modello naturale in gesso, sbozzatura, rifinitura - alcune delle quali impersonali in quanto affidate ai collaboratori, lo scultore depura l'iniziale intuizione creativa da tutto ciò che vi è di eccessivo, soggettivo e relativo,
pervenendo a immagini di assoluta ed eterna bellezza.
 
(cliccare sulle immagini per ingrandire)
 

                  disegno

primo bozzetto in argilla

secondo bozzetto in argilla

modello 'naturale' in gesso

le Tre Grazie in marmo

 
Infine, la riflessione sul bello si è accompagnata nel Settecento a quella sul pittoresco e sul sublime, intrecciandosi al dibattito sul ruolo  svolto dall'immaginazione (e/o fantasia).
 

 
CONOSCITORE

La paternità del termine conoscitore (fr. connaisseur, ingl. connoisseur; dal lat. cognóscere) spetta al pittore inglese Jonathan Richardson, autore del volume The connoisseur, pubblicato nel 1719.
Il termine indica un uomo colto, che ha affinato il suo spirito con lo studio e con i viaggi (strumento non solo di conoscenza ma di formazione globale dell'individuo), un uomo di
gusto, in grado di orientare i gusti del pubblico e di contribuire così allo sviluppo sociale (vista l'influenza civilizzatrice dell'arte sulla nazione). Il conoscitore ha quindi strumenti critici che gli consentono di affrontare temi come l'attribuzione di un'opera, la sua autenticità, le sue qualità estetiche, la sua conservazione. Si differenzia perciò dal dilettante, che mantiene forti legami con la pratica (fare arte, riconoscere le 'maniere' degli artisti); e, successivamente, anche da chi si occupa di storia dell'arte.

Diversamente dallo storico dell'arte, infatti, il conoscitore raramente arriva a una 'verbalizzazione' dei suoi giudizi: "il conoscitore può così definirsi uno storico dell'arte laconico, e lo storico dell'arte un conoscitore loquace. Nella realtà i migliori rappresentanti di entrambe le categorie hanno contribuito in misura veramente grande al progresso di quello che ognuno d'essi non considera il proprio campo. [E se] il Fiedländer giustamente dice che un buon storico dell'arte è, o almeno diviene, un Kenner wieder Willen (conoscitore controvoglia), per contro un buon conoscitore si potrebbe dire uno storico dell'arte malgré lui" (Panofsky, 1962).
 

 

CRITICA D'ARTE

Per critica d'arte si intende la riflessione, e quindi anche il giudizio, sull'opera d'arte. Si ritiene che in senso moderno essa trovi la sue prima, compiuta, espressione nei resoconti delle esposizioni parigine, i Salons. Il nome deriva dal Salon Carré del palazzo del Louvre, dove nel 1737 vennero spostate le esposizioni di opere che fin dal 1673 l'Accademia Reale di Pittura e Scultura organizzava periodicamente per i propri iscritti. Si trattava di un evento artistico di grande importanza, vetrina fondamentale per gli artisti che potevano farsi conoscere, e vendere le proprie opere.
Mentre in precedenza i giudizi critici andavano ricercati nelle vite degli artisti e nei trattati, il Salon offre l'opportunità di un resoconto critico legato all'attualità: scrivere la propria opinione su opere e artisti contemporanei.

Uno dei primi a dedicarsi a questi resoconti è stato Denis Diderot, che ha cominciato a pubblicarli per i lettori della rivista 'Corrispondance littéraire' nel 1759, ed ha continuato fino al 1781. Il suo è un approccio più da filosofo che da esperto d'arte, ma è interessante per comprendere il gusto francese settecentesco. Decisamente più profonde e originali le riflessioni di Charles Baudelaire nei suoi rendiconti di alcuni Salons tra 1845 e 1859. Un testo base per la critica moderna.
 



G. Castiglione, Veduta del Salon Carré, 1848

 

 

DILETTANTE

Il termine dilettante attualmente ha una connotazione negativa (chi svolge una attività senza avere competenze specifiche), ma nel suo significato originario, diffusosi proprio nel Settecento, indica chi si avvicina all'arte non da professionista ma perché spinto da una sincera e disinteressata passione, per puro diletto (dal lat. delectare). Si tratta sostanzialmente di un "amatore" (amateur), che si dedica alle arti non per 'mestiere' ma come completamento della propria educazione; può quindi essere un 'collezionista', ma non necessariamente un conoscitore.

Benché intuitivamente presente nella letteratura artistica fin dal XVII secolo, il dilettantismo viene teorizzato alla fine del XVIII secolo da Wolfgang Goethe e Friedrich Schiller, che nel 1799 scrissero a quattro mani una serie di riflessioni sul tema, abbozzo per un articolo mai realizzato; questi 'appunti' vennero pubblicati solo nel 1824, col titolo Sul dilettantismo (
Über den dilettantismus).
Dalle prime frasi buttate giù dai due giovanotti tedeschi: "
Un artista, gli italiani lo chiamano sempre "maestro". / Se vedono che uno esercita un'arte senza farne professione, dicono "si diletta". / La parola "dilettante" non si trova nella lingua italiana più antica. Significa un amatore delle arti, che non vuole solo contemplare e godere, ma anche prendere parte all'esercizio di esse. / Il dilettante sta all'arte come colui che fa un lavoro abborracciato sta al mestiere. / Dilettante si diventa. / Artista si nasce."

 

 
● ESTETICA

Il termine estetica deriva dal gr. áisthesis (percezione, sensazione) e aisthánomai (sento, percepisco). Come disciplina autonoma l'estetica nasce 'ufficialmente' in Germania nel 1750, quando viene pubblicato il libro Aesthetica scritto da Alexander Gottlieb Baumgarten.

Il filosofo la definisce "
teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare in modo bello, arte dell'analogo della ragione". Due sono gli assunti fondamentali da cui muove l'autore: "L'Aestetica è la scienza della conoscenza sensibile" e "Fine dell'estetica è la perfezione della conoscenza sensibile, in quanto tale. E questa è la bellezza".
Dunque l'estetica è la dottrina del Bello, propria dell'arte figurativa, che viene interpretata non più semplicemente come
imitazione ma come un modo attivo di conoscenza, anteriore e diverso da quello razionale della conoscenza scientifica perché basato sulla percezione dei sensi. Diverso, ma pari come valore a quello derivante dalla logica: "La Logica (dialettica, arte della ragione, analitica, senso del vero e del falso, scienza delle scienze, medicina delle medicine, faro dell'intelletto) artificiale è la filosofia che ha il fine di perfezionare la conoscenza intellettuale".

Da allora il termine è stato utilizzato per indicare ogni concezione filosofica che abbia per oggetto l'arte,
con lo scopo di indagarne l'essenza, le motivazioni, gli svolgimenti ed i fini.
 

 

 

GENIO

Il concetto di genio assume un'importanza fondamentale nella riflessione filosofica del Settecento.
Il termine deriva dal latino génius, che designava un nume tutelare, uno spirito custode; ogni uomo, alla nascita, riceveva un proprio genio, ma anche i luoghi (genius loci) e le attività ne avevano uno. Nel mondo greco c'era una creatura simile, il dáimon (démone), un essere intermedio tra gli dei e gli uomini, una divinità di rango 'inferiore' che poteva avere connotati non solo positivi e che accompagnava costantemente la vita di un uomo (secondo Platone il dáimon è la componente più nobile della psiche di un uomo).
Queste figure, nel loro ruolo protettivo, sono assimilabili agli angeli cristiani (e non hanno nulla a che vedere con i demóni, cioè i diavoli di tradizione biblica).
 



H. Füβli, Macbeth e le streghe, 1781-84
La teoria del genio creatore nasce in Germania nell'ultimo trentennio del Settecento, nell'ambito del movimento culturale dello Sturm und Drang (Tempesta e Impeto); non a caso quell'arco di tempo viene anche chiamato Geniezeit, 'epoca del genio'. Genio inteso come manifestazione di individualità, originalità, potenza della fantasia creatrice, dismisura.
Certo, già in epoca rinascimentale era presente l'idea della forza creatrice dell'artista, e quindi del genio, ma senza che venisse teorizzata a livello speculativo. Ad esempio, che
la personalità di Michelangelo fosse al di là del comune era percepito anche dai suoi contemporanei. Giorgio Vasari, architetto, pittore e teorico dell’arte, suo amico e ammiratore, lo definisce "divinissimo", uno "spirito" inviato sulla terra da Dio per mostrare la perfezione dell'arte in tutti i suoi aspetti; e c’è stato perfino chi si è spinto, come il Doni (1543), a definirlo un "Iddio, con licenza della nostra fede".

Ma è solo nel Settecento che il concetto viene teorizzato. E proprio Michelangelo viene esaltato come espressione assoluta del genio, in Germania ma anche in Inghilterra, dove c'era chi lo considerava
"più grande dello stesso Dio". Nel 1790 il pittore Joshua Reynolds chiuse il suo ultimo discorso alla Royal Academy of Arts così: "L'ultima parola che pronuncio da questa Accademia, da questa cattedra, sia il nome di Michelangelo".
Per Reynolds Michelangelo era immenso come Omero e Shakespeare, tutti accomunati dalla loro eccezionalità. Nella sua voce génie, nell'Encyclopédie, Denis Diderot scrive: "
Perché qualcosa sia bello secondo le regole del gusto deve essere elegante, rifinito, studiato senza che lo si veda; per essere opera di genio deve essere talvolta inaccurato e avere un aspetto irregolare, rude e selvaggio. La sublimità e il genio balenano in Shakespeare come lampi in una lunga notte, e Racine è sempre bello; Omero è pieno di genio e Virgilio di eleganza" (1765).

Nell'elaborazione del concetto di genio fondamentale è la riflessione del filosofo Immanuel Kant, che affronta il tema nella Critica del Giudizio (Kritik der Urteilskraft, 1790). Primo: "il genio è il talento di produrre ciò di cui non si può dare alcuna regola determinata, non abilità ed attitudine a ciò che si può imparare dalle regole: di conseguenza, l'originalità è la sua prima caratteristica". Caratteristica del genio è la sua originalità, il creare al di fuori di ciò che regole consolidate possono insegnare e che gli altri seguono.
Secondo: "
potendo anche esistere stravaganze originali, i prodotti del genio devono essere anche modelli, cioè esemplari; quindi, senza essere essi stessi frutto di imitazione, devono servire a tal scopo per gli altri, cioè come misura o regola del giudizio". Anche se le creazioni del genio sono al di fuori delle regole, e non derivano dall'imitazione, devono tuttavia avere un valore esemplare e quindi proporsi come modello da imitare, come metro del giudizio.
Terzo: "
il genio non sa descrivere o mostrare in modo scientifico come esso realizzi i propri prodotti, ma dà la regola, in quanto Natura; per cui l’autore d'un prodotto di genio, non sa egli stesso come gli vengano in mente le idee per realizzarle, né è in suo potere trovarne a proprio piacere o secondo un piano, comunicandole ad altri in precetti che li mettano in condizione di realizzare prodotti simili". Il genio non sa in che modo nasca l'impulso alla creazione artistica, non sa quali regole siano alla base delle sue opere; non è in grado di prevedere l'impulso creativo né di insegnare ad altri come realizzare prodotti analoghi a quelli da lui creati.
Quarto: "
la natura per mezzo del genio prescrive la regola non alla scienza, ma all'arte, ed anche questo solo in quanto questa deve essere arte bella". Il genio ha come ambito specifico l'arte, il cui fine è la bellezza.

Per sottolineare la specificità 'artistica' del genio, Kant fa un paragone con la scienza. I precetti esposti da Newton, frutto indubbio della sua grande mente, per quanto complessi possono essere compresi da altri, e imparati, mentre al contrario "
non si può imparare a poetare, per quanto siano completi i precetti dell'arte poetica e per quanto eccellenti ne siano i modelli". E questo per quanto affermato nei quattro punti sopra esposti.

Insomma, geni si nasce. In virtù della sua eccezionalità solo "
il genio squarcia il velo che separa l'esistenza dalla possibilità; scruta nell'oscurità e coglie, nel raggio riflesso, un'ombra, un tratto, un colore" (Johann Heinrich Füβli). Solo il genio ci esalta e ci commuove: "Siamo grati al sapere, ma riveriamo il genio; il primo ci dà piacere, il secondo ci rapisce; quello ci informa, questo ci ispira […] il genio infatti deriva dal cielo, il sapere dall'uomo" (Edward Young, 1759).

 

 

● GRAZIA

 
La grazia (lat. grátia da grátus, gradito; gr. cháris) è una categoria critica variamente  considerata dalla trattatistica dei secoli XVI e XVIII, ma sempre con implicazioni positive.
Ad esempio, nel XVI secolo è stata associata al concetto di sprezzatura, risalente a Baldassar Castiglione: occorre "
fuggir quanto più si può [...] la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usare in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconde l'arte [cioè l'artificio], e dimostri, ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io derivi assai la grazia" (Il Cortigiano, 1528).
Alcuni trattatisti la mettono in relazione con la bellezza, ritenendola espressione di una bellezza spirituale distinta da quella corporale (B. Varchi, Libro della Beltà e Grazia, 1543 ca). E la "grazia" diventa un elemento distintivo della pittura di Raffaello, in opposizione alla "terribilità" di Michelangelo (L. Dolce, L'Aretino, 1557).

Nel Settecento la grazia nelle arti figurative viene analizzata dal pittore e incisore inglese William Hogarth nel suo Analysis of Beauty, del 1753. Per lui la bellezza è legata alla linea curva, ondulata e serpentinata, definita "
linea della bellezza e della grazia"; e a un metodo compositivo basato su elementi come la varietà, il movimento, la complessità (intricacy): "la complessità equilibrata capace di guidare l'occhio in una sorta di inseguimento. Un raggio immaginario partendo dal nostro occhio sarà trasportato in un movimento continuamente variato. Variazione che ci permetterà di sfuggire alla noia del riposo, continuità capace di sottomettere la varietà ad un ordine. E in questo spostarci senza fine non ci perderemo; tale è il piacere provato ogni volta che una linea ondulata e serpentina si snoda davanti a noi: un grazioso ricciolo, un nastro avvolto in una bacchetta".

F. Boucher, Vulcano mostra a Venere le armi per Enea, 1757

Un'idea di bellezza che permea l'arte rococò, caratterizzata appunto da leggerezza, eleganza,colori chiari, piacevolezza e predominio di linee ondulate.

Per il critico neoclassico
Johann Joachim Winckelmann "la grazia è il piacevole secondo ragione. [...] È lontana dalla costrizione e dalla ricercatezza arguta. [...] ed è offuscata dal troppo fuoco e dalle violente passioni. [...] In essa consisteva il pregio di Apelle e - in tempi moderni - del Correggio, mentre Michelangelo non attinse mai ad essa" (Brevi studi sull'arte antica, 1756-59).
  

BIBLIOGRAFIA:  I. PANOFSKY, Il significato delle arti visive, ediz. Einaudi 1962; L. VENTURI, Storia della critica d'arte, Einaudi 1964; F. PFISTER e D. IRWIN (a cura di), J.J. WINCKELMANN, Il Bello nell'arte. Scritti sull'arte antica, Einaudi 1973; G. BRIGANTI, Intervista su Michelangelo, 1975; G. BRIGANTI, I pittori dell'immaginario, Electa ediz. del 1989; E. DE ANGELIS (a cura di), J.W GOETHE e F. SCHILLER, Il dilettante, Donzelli 1993; H. HONOUR, Neoclassicismo, Einaudi ediz. 1993; T. CALVANO, Viaggio nel pittoresco: il giardino inglese tra arte e natura, Donzelli 1996; AA.VV., L'arte (critica e conservazione), Jaca Book 1996; G. MORPURGO-TAGLIABUE (introduzione a), I. KANT, Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, Rizzoli 1996; S. TEDESCO, L'estetica di Baumgarten, in ‘Aesthetica Preprint’, 6, dicembre 2000; P. FABIANI, La filosofia dell'immaginazione in Vico e Malebranche, Firenze University Press 2002 (Tesi: Art & Humanities, 1); G. MILANI - M. PEPE, Dizionario di arte e letteratura, Zanichelli 2002; P. GIORDANETTI - M MAZZOCUT MIS (a cura di), I luoghi del sublime moderno, LED 2005; L. RUSSO, Jean Baptiste Du Bos e l'estetica dello spettatore, in ‘Aesthetica Preprint. Supplementa’, 15, dicembre 2005; E. DI STEFANO, Bello e Idea nell’estetica del Seicento, in ‘Aesthetica Preprint’, 79, aprile 2007; G. PINNA, Il sublime romantico. Storia di un concetto sommerso, in ‘Aesthetica Preprint’, 81, dicembre 2007

(seconda parte)

 
(Giulia Grassi, gennaio-marzo 2011)
 

 

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