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Piccolo
glossario di concetti teorici e
categorie critico-estetiche
utili alla comprensione e
interpretazione dell'opera
d'arte e definiti dal punto di
vista teorico nel XVIII secolo
anche se, in alcuni casi, come
sviluppo e sistematizzazione di
riflessioni precedenti. Nel
Settecento l'arte è oggetto,
come mai prima di allora, di
ricerche, discussioni e
teorizzazioni che influiranno
anche sul pensiero dei
secoli successivi. È in questo
periodo che l'Estetica
viene teorizzata come disciplina
filosofica specifica dell'arte;
che nascono la critica d'arte
moderna e la storia dell'arte
come disciplina autonoma mentre,
parallelamente, dilettanti e
conoscitori, filosofi e artisti
discutono animatamente di bello,
gusto, pittoresco, immaginazione,
genio e sublime. Non a caso
siamo nel secolo dei lumi della
ragione e dell'Encyclopédie.
(Per grandi linee e in ordine
alfabetico, per una più agevole
consultazione da parte degli
studenti. In due parti). |
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● BELLO (&
BELLO IDEALE)
Il concetto di bello è uno dei più
ricorrenti nel dibattito filosofico del
Settecento, anche se non si tratta di un
concetto nuovo: è presente, infatti, nel
pensiero greco antico (Platone, Aristotele),
come intimamente connesso con l'idea di
bene: kalòs kai agathós
/ bello e buono (vedi
in Alipes:
kalokagathia).
Dall'antichità deriva anche l'idea che il
bello sia associato con l'ordine, la
simmetria, la proporzione, l'armonica
corrispondenza delle parti;
idea alla base della trattatistica tra XVI e
XVII secolo.
Nel XVIII secolo un filone filosofico
ripropone questa visione, di carattere
razionale, per cui "il bello è il
métron-métrion-kairós
di Platone, l'ordo, junctura,
numerus
di Quintiliano, il numerus, mensura
pondus
della Scolastica, [...] l'armonia, ordine,
proporzione di Shaftesbury [...], la
regolarità, l'uniformità nella varietà di
Hutcheson [...]. Il bello è una dote
oggettiva del creato colta dalla nostra
ragione". Accanto a questa
visione, ce ne era |
però
anche un'altra, quella
"soggettiva ed empiristica delle
sensazioni e dei sentimenti:
come tale, 'la bellezza non
richiede alcuna assistenza della
ragione'. Era legata a una
particolare scelta del
gusto che si sviluppò
per tutto il secolo,
dall'Arcadia al Rococò [...]; è
la nozione del bello come
piacevole, come inclinazione e
soddisfazione edonistica,
seduzione dei sensi, vitalità,
festa, gaiezza, voluptas,
capriccio [...]. Il bello è
sempre sensuale, delicato,
minuto, nitido, morbido,
curvilineo" (Morpurgo-Tagliabue,
1996).
Nell'ambito del Neoclassicismo
si afferma poi la
poetica del
BELLO IDEALE, legata al
nome di
Johann Joachim Winckelmann ed espressa
in particolare nelle opere
Pensieri sull'imitazione dell'arte greca
nella pittura e nella scultura
(Gedanken
über die Nachahmung der
griechischen Werke in Malerei
und Bildhauerkunst, 1755) e Storia dell'arte nell'antichità
(Geschichte
der Kunst des Altertums, 1764).
Anche questo è un concetto che già altri prima
di lui avevano elaborato, in particolare
Giovan Pietro Bellori, "il quale apre il
suo volume,
Le vite de’ pittori, scultori et architetti
moderni,
con il famoso discorso sull’Idea,
tenuto all‘Accademia di San Luca la terza
domenica di maggio del 1664 [...] Come è
noto, in questo testo Bellori ratifica,
grazie alla sua autorità di illustre
antiquario e cultore dell’arte, la
superiorità della bellezza ideale, rispetto
sia alla pedissequa imitazione del reale sia
alla sfrenata libertà fantastica" (Di
Stefano,
2007). Ma che Winckelmann inserisce in una
architettura teorica complessiva che fa di
lui, tra l'altro, l'iniziatore della moderna
storia dell'arte. |
Annibale Carracci, Trionfo di
Bacco e Arianna, Palazzo
Farnese |
L'assunto di base è che la bellezza
nell'arte non possa essere ottenuta
semplicemente guardando alla natura, e
imitandola passivamente, perché la natura
raramente è perfetta ed esente da difetti.
Occorre perciò effettuare una selezione,
cogliendo il bello disperso in essa e
proponendone una sintesi ideale, in modo da
raggiungere un Bello assoluto e oggettivo,
l’unico che può sfidare il tempo e tendere
all’eternità. Per ottenere questo risultato
bisogna inoltre prendere a modello le statue
antiche, perché già i Greci avevano
affrontato e risolto questo problema,
raggiungendo la sintesi tra Bello, Vero e
Buono (in Alipes:
Doriforo di Policleto).
Strettamente correlato al concetto di Bello
ideale è quindi quello di
imitazione.
Scrive Winckelmann: "La
natura e la struttura dei corpi più belli
raramente sono prive di difetti, anzi hanno
forme e particolari che potremmo scoprire o
concepire più perfetti in altri corpi, e in
base a questa esperienza ogni artista
sapiente si comportava come un abile
giardiniere che innesta su un fusto diversi
margotti delle migliori qualità; e come
l'ape sugge da molti fiori, così i concetti
del bello non rimasero circoscritti alla
singola bellezza individuale, [...]; bensì
gli antichi cercarono di operare una sintesi
di tutto ciò che vi era di bello in molti
bei corpi. Essi purificarono le loro
immagini da ogni gusto personale, che
distoglie il nostro spirito dalla vera
bellezza" (Storia
dell'arte nell'antichità).
Quindi "L'imitazione
del bello nella natura o si attiene a un
solo modello o è data dalle osservazioni
fatte sui vari modelli riunite in un
soggetto solo. Nel primo caso si fa una cosa
somigliante [...] Nel secondo caso invece si
prende la via del Bello universale e delle
immagini ideali di questo bello; ed è questa
la via che presero i greci"
(Pensieri
sull'imitazione dell'arte greca nella
pittura e nella scultura).
Punto di riferimento è un aneddoto sul
pittore del IV secolo
a.C. Zeusi, già citato da Leon
Battista Alberti
(De
pictura,
III, 1435-36): "Zeusis,
prestantissimo e fra gli altri
essercitatissimo pittore, per fare una
tavola qual pubblico pose nel tempio di
Lucina appresso de’ Crotoniati, non
fidandosi pazzamente, quanto oggi ciascuno
pittore, del suo ingegno, ma perché pensava
non potere in uno solo corpo trovare quante
bellezze egli ricercava, perché dalla natura
non erano ad uno solo date, pertanto di
tutta la gioventù di quella terra elesse
cinque fanciulle le più belle, per torre da
queste qualunque bellezza lodata in una
femmina. Savio pittore [...]".
Infine, il Bello si accompagna alla
semplicità ma anche alla serenità, alla
quiete, al controllo delle emozioni:
"Il
generale e principale carattere dei
capolavori greci è una nobile semplicità e
una quieta grandezza
[edle
Einfalt und stille Größe] tanto negli
atteggiamenti quanto nell'espressione. Come
la profondità del mare che resta sempre
immobile per quanto agitata ne sia la
superficie, l'espressione delle figure
greche, per quanto agitate dalle passioni,
mostra sempre un'anima grande e posata"
(Storia dell'arte nell'antichità).
Espressione emblematica di questa concezione
è Antonio Canova. Attraverso
molteplici fasi esecutive - disegno,
bozzetto in argilla, modello naturale in
gesso, sbozzatura, rifinitura - alcune delle
quali impersonali in quanto affidate ai
collaboratori, lo scultore depura l'iniziale
intuizione creativa da tutto ciò che vi è di
eccessivo, soggettivo e relativo,
pervenendo a
immagini di assoluta ed eterna bellezza.
(cliccare sulle immagini per ingrandire)
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