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SCHEDA DIDATTICA 6

 
IL RITRATTO NELL'ARTE ROMANA



Il ritratto è, con il rilievo storico, una delle espressioni più emblematiche della civiltà romana. Del resto, basta entrare nelle sezioni di arte romana di qualunque museo archeologico per rendersene conto. Dalle mensole o dai piedistalli lungo le pareti i volti di decine di abitanti dell'immenso impero - non solo imperatori e senatori, ma anche generali, filosofi, commercianti, donne e bambini, e di tutte le età - si susseguono silenziosi, in un campionario strabiliante di fisionomie, caratteri e psicologie. Si tratta infatti, eminentemente, di ritratti fisionomici, propri cioè di 'persone' realmente esistite, in genere improntati a un forte realismo.

Il ritratto fisionomico non è però un'invenzione romana, perché lo si

ritrova anche in Grecia (in epoca ellenistica) e presso gli Etruschi; ma a Roma esso si sviluppa con caratteri del tutto particolari, e originali.
Inoltre, i
ritratti greci in genere erano fusi nel bronzo, quindi sono andati perduti, ed erano parte di figure intere, perché per la mentalità ellenica l'integrità fisica non doveva essere infranta. Quelli che conosciamo sono perciò soprattutto copie in marmo di epoca romana, non di rado di qualità un po' scadente, e proposti in genere come busti-ritratto, secondo la diversa visione dei copisti.
Prima dell'età ellenistica (che per convenzione inizia nel 323 a.C.) nella ritrattistica greca prevaleva un'impostazione "tipologica": ad esempio, Pericle è stato ritratto secondo il tipo del generale e non per come era realmente, era quindi un ritratto ideale.
Molti ritengono che il primo ritratto fisionomico greco sia stato quello di Platone, realizzato da Silanion e collocato, forse nel 347 a.C., in un luogo dedicato alle Muse. Si trattava, perciò, di un ritratto pubblico, creato per onorare il grande filosofo dopo la sua morte.
Con l'Ellenismo, la tendenza a rappresentare non più tipi ma 'individui' ha finito con l'affermarsi in modo definitivo, aprendo la strada alla diffusione anche del ritratto privato accanto a quello pubblico fino a quel

 


Pericle
, copia romana dell'originale
di Kresilas?, seconda metà del V sec. a.C. (Londra, British Museum)


Platone
, copia romana dell'originale
di Silanion, circa 347 a.C. (Città del Vaticano, Museo Chiaramonti)

momento dominante.

In
ambito etrusco-italico si riscontra uno sviluppo simile a quello della ritrattistica greca, ma con una differenza fondamentale: l'attitudine a concentrare l'attenzione sulla modellazione delle teste rispetto a quella dei corpi, poiché si riteneva che la testa da sola bastasse a rappresentare la persona intera.
 
Molto si è scritto sul
ritratto romano e sulla sua origine. Secondo l'ipotesi prevalente, il tipico ritratto romano, fisionomico e realistico, nasce in ambito privato e in epoca sillana (primo quarto del I secolo a.C.), come espressione dei valori dell'aristocrazia.
Nasce in ambito privato in quanto legato al culto degli antenati, proprio dell'aristocrazia, nel quale le immagini in cera dei membri della famiglia (imagines maiorum) - ricavate dal calco del vero volto dei defunti e pertanto estremamente realistiche
- rivestivano un'importanza fondamentale. Secondo una norma giuridica, lo ius imaginum, solo gli aristocratici avevano il diritto a possedere tali immagini e a conservarle in casa. Venivano poste dentro un armadietto a sportelli, ciascuno munito di una iscrizione con il nome e i titoli del defunto, collocato bene in vista nella casa (domus) e quindi nell'atrio d'ingresso (col tempo, furono sostituite da immagini in marmo o bronzo). La nobilitas di una famiglia, la sua antichità e quindi la sua autorevolezza, erano direttamente proporzionali al numero di imagines che essa poteva vantare, e che si arricchiva continuamente, visto che col matrimonio la moglie portava con sé le immagini dei propri antenati, che si aggiungevano a quelle del marito.

Le immagini in cera svolgevano un ruolo fondamentale nei riti funerari del patriziato romano, come testimonia la sempre citata descrizione di un funerale fatta dallo storico greco POLIBIO, venuto a Roma come ostaggio nel 166 a.C.:
 

"Quando qualche illustre personaggio muore, celebrandosi le esequie, è portato con ogni pompa nel Foro pressi i cosiddetti Rostri e ivi posto quasi sempre dritto e ben visibile, raramente supino.
Mentre tutto il popolo circonda il feretro, il figlio, se ne ha uno maggiorenne e se è presente, o in mancanza qualcun altro della famiglia, sale sulla tribuna, rammenta le virtù del morto e le imprese felicemente compiute in vita […]
Dopo la laudatio funebris, il morto si seppellisce con gli usuali riti funebri e la sua immagine, chiusa in un reliquiario di legno, viene portata nel luogo più visibile della casa.
L’immagine è una maschera di cera che raffigura con notevole fedeltà la fisionomia e il colorito del defunto. In occasione di pubblici sacrifici espongono queste immagini e le onorano con ogni cura; e quando muore qualche illustre parente le portano in processione nei funerali, applicandole a persone che somigliano agli originali per statura ed aspetto esteriore. […] Non è facile per un giovane che aspiri alla fama e alla virtù vedere uno spettacolo più bello di questo […]
Quando ha finito di parlare del morto, l’oratore incaricato dell’elogio funebre ricorda i successi e le imprese dei suoi antenati, dei quali sono presenti le immagini, cominciando dal più antico. Così, rinnovandosi continuamente la fama di virtù degli uomini valorosi, si immortala la gloria di coloro che hanno compiuto qualche nobile impresa e il nome di coloro che hanno servito bene la patria è conosciuto da tutti e si trasmette ai posteri. E, quel che più importa, i giovani sono spinti a sopportare tutto per procacciarsi la gloria che si accompagna ai valorosi".
     


Ritratto  derivato da maschera funebre in cera
, terracotta, I secolo. a.C. (Parigi, Louvre)

 

Queste maschere funebri in cera non esprimevano esigenze di carattere estetico bensì veicolavano valori politici e di casta, ed è solo dall'incontro con la tradizione del ritratto fisionomico ellenistico, quello sì portatore di alte qualità artistiche, che nasce il ritratto romano. Ecco perché le maschere di cera si possono considerare "una matrice 'ideologica' e non una matrice formale" di esso (R. Bianchi Bandinelli, Roma. L'arte nel centro del potere, 1969¹, Rizzoli 2005, p. 118).



Quanto esposto finora spiega l'apparizione del ritratto romano in epoca tardo-repubblicana, in un periodo molto particolare della storia dell'Urbe, squassata dal conflitto tra patrizi e plebei seguito alle riforme dei Gracchi (121 a.C.).
Esponente di spicco del patriziato è Silla (dittatura tra 82 e 79 a.C.), il cui nome è indissolubilmente legato a quello del campione dei plebei Mario, oggetto di disprezzo "Perché - diceva - non ho immagini (di antenati) e la mia nobiltà è nuova" (SALLUSTIO). Il conflitto si concluse con la vittoria del patriziato, e la  nascita del ritratto proprio in quel cinquantennio di lotte sanguinose viene interpretata come il segno della riconquista del dominio e la riaffermazione di una decisa 'coscienza di sé' e dei propri valori da parte dell'aristocrazia.
 

ritratto di patrizio romano


 

I ritratti patrizi della prima metà del I secolo a.C. sono caratterizzati da un realismo esasperato, che non concede nulla alla bellezza esteriore e alla mondanità ma celebra i valori fondanti non solo dell'aristocrazia ma di Roma stessa, nata dalla forza e dalla volontà di un popolo di austeri e determinati contadini.
Un esempio abusato, ma efficace
, è il ritratto di un patrizio romano della collezione Torlonia a Roma. Rappresenta un uomo col volto segnato da rughe profonde, le labbra serrate in una piega severa, il naso prominente, le guance incavate: i difetti fisici e gli oltraggi della vecchiaia appaiono riprodotti senza alcuna indulgenza, quasi con morbosità. I tratti duri del volto lasciano intuire anche la personalità dell'uomo (o, almeno, come vuole che sia percepita): uno stile di vita austero, la dura pratica dell'autodisciplina, l'integrità morale, il coraggio, in poche parole l'intransigente adesione a quel sistema di valori e tradizioni - mos maiorum, 'costumi dei padri' - sentito come base dell'essere romano. E forse anche un certo disprezzo per il mondo al di fuori della casta di appartenenza.
 
Accanto a questo uso privato del ritratto, ben presto se ne sviluppa anche uno pubblico, legato a esigenze di carattere politico e di 'immagine'. E questo sviluppo è accompagnato all'affermazione di una tendenza idealizzante, di derivazione greco-ellenistica, che attenua la brutalità del realismo estremo.

Ne è un esempio il ritratto di Pompeo a Copenhagen, che probabilmente in origine era parte di una
    statua (si tratta della copia del I secolo d.C. di un originale del 60/50 a.C.).  

ritratto di Pompeo




 
Gneo Pompeo Magno è stato un grande generale, e con Giulio Cesare e Licinio Crasso ha costituito il cosiddetto Primo Triumvirato. A Roma ha legato il suo nome al celebre Teatro con Portici nel Campo Marzio meridionale, in una vasta area che oggi va da Largo Argentina a Piazza Farnese.
Nel ritratto c'è un sapiente equilibrio tra realismo e idealizzazione. È evidentemente il volto di un uomo maturo, con una certa tendenza alla pinguedine, il naso dalla punta troppo carnosa, le labbra eccessivamente sottili: un vero ritratto fisionomico. Ma l'incarnato non è quello di un cinquantenne e le rughe della fronte non sembrano
il marchio indelebile dell'età bensì semplici increspature d'espressione. Il modellato è morbido e i capelli sollevati sulla fronte in un'onda studiatamente scomposta sembrano richiamare il doppio ciuffo della fluente chioma di Alessandro Magno come appare negli innumerevoli ritratti del conquistatore, modello di ogni ambizioso generale che si rispetti.

Queste due tendenze - realismo e idealizzazione - rimarranno nella ritrattistica, coesistendo; e caratterizzeranno in genere l'una il ritratto privato e l'altra il ritratto pubblico e onorario. Ne sono un esempio due ritratti dell'imperatore Vespasiano (regno tra 69 e 79), conservati l'uno a Copenhagen (Ny Carslberg Glyptothek) e l'altro a Roma (Museo Nazionale Romano). Nel primo è fissato il volto, dai tratti plebei e un po' volgari, del vecchio generale originario della Sabina, figlio di un esattore delle imposte; uomo pratico, dai modi rudi e poco incline alla mondanità (ma grande riorganizzatore
    dell'impero). Nel secondo è proposta l'immagine
del princeps: austero e autorevole, nobile nell'atteggiamento, la fronte spaziosa dell'intellettuale.

È naturale che nella ritrattistica imperiale prevalga questo secondo filone idealizzante, anche per la funzione che queste immagini avevano nell'ideologia imperiale. In ogni angolo del vasto impero esse richiamavano la presenza dell'imperatore, unica fonte di ogni autorità anche se fisicamente lontano; non rappresentavano semplicemente il princeps, "erano" il princeps. Illuminante, in tal senso, è la testimonianza del vescovo SEVERIANO (fine del IV secolo): "Pensa
a quanti governatori vi sono nel mondo intero. Dal momento che l’imperatore non è a contatto con tutti loro, è necessario che la sua immagine sia posta nei tribunali, nei mercati, nei luoghi di riunione, nei teatri. L’immagine dell’imperatore deve essere posta in ogni luogo in cui il governatore esercita il potere, perché i suoi atti abbiano la necessaria autorità”.
Le immagini imperiali andavano rispettate. Lo storico SVETONIO racconta che, all'epoca di Tiberio, erano previste gravi punizioni per chi entrasse in una latrina o in un lupanare (bordello) con un anello o delle monete recanti l'immagine di Augusto: come se quegli atti impuri potessero, attraverso l'effige, contaminare lo stesso imperatore.
 

Vespasiano

  
Non bisogna, infine, dimenticare che i ritratti scolpiti nel marmo non erano lasciati bianchi, ma solitamente erano dipinti a colori vivaci: una vera passione per la policromia accomunava infatti i romani ai greci e agli etruschi, anche se noi siamo abituati all'idea, del tutto errata, che le sculture (e le architetture) antiche fossero di marmo candido.
Ad esempio, in base alle tracce di pittura sopravvissute sul ritratto di Caligola (37-41) - pupilla, ciglia e sopracciglia dell'occhio sinistro, collo, frangia dei capelli - gli studiosi nel 2003 hanno creato un modello tridimensionale della scultura come doveva presentarsi al momento della sua realizzazione: per il nostro gusto l'effetto è straniante, ma probabilmente non è troppo lontano dal reale aspetto dell'opera originaria.

Notevolmente
spiazzante è la anche la recente ipotesi di coloritura della statua detta dell'Augusto di Prima Porta, sempre avanzata in base alle tracce di pittura rinvenute sul pregiatissimo marmo pario nel quale è stata scolpita la statua del primo imperatore.

Inoltre i romani facevano largo uso di marmi colorati non solo nell'architettura ma anche nella scultura, spesso abbinandone di diversi in un'unica opera. È il caso, ad esempio, del
ritratto di Caracalla (212-217) conservato ai Musei Capitolini di Roma: la testa in marmo bianco 'lunense' (di Carrara) è inserita in un busto di porfido rosso, il marmo imperiale per eccellenza perché richiama la porpora, il cui uso era riservato agli imperatori (indossare la porpora voleva dire 'diventare imperatore').
 
Caligola      

Caracalla

sulla policromia nella scultura antica,
vedi la scheda didattica 11

sui marmi colorati nell'architettura romana,
vedi la scheda didattica 12

 
 
(Giulia Grassi, maggio 2009)
 

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