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SCHEDA DIDATTICA 11

 
IL COLORE NELLA SCULTURA E ARCHITETTURA ANTICHE

 
Quando pensiamo a una scultura o a un tempio greci (ma anche romani), ce li immaginiamo 'bianchi', cioè di candido marmo; del resto, è questo il colore delle statue nei musei e di molte delle grandi architetture in rovina che punteggiano il Mediterraneo. Non facciamo nessuna fatica, invece, ad accettare che in civiltà diverse dalla nostra occidentale, come quelle dell’Egitto e della Mesopotamia, la scultura fosse dipinta a colori vivaci: i ritratti dei sovrani e degli scribi egizi così come le immagini di divinità o sacerdoti sumeri e babilonesi sarebbero inconcepibili senza il colore, anzi, ci sembrerebbero brutti.


 


 


 

Ritratto di Nefertiti,
arte egizia del 1350 ca a.C.

Statua di Orante, arte
sumera (XXVII sec. a.C.)

Ritratto maschile, arte
babilonese (XX-XVII sec. a.C.)

 

Sappiamo che anche gli Etruschi amavano circondarsi di opere colorate. Ma loro usavano la terracotta per la scultura, e il legno per i templi: è naturale, pensiamo, che materiali così 'poveri' venissero valorizzati con la pittura!

Non riusciamo ad immaginare, invece, le sculture in marmo pentelico del Partenone (v. sotto) o la statua in marmo pario dell'Augusto di Porta Porta... policrome: la sola idea ci sembra assurda, e quei capolavori un po' meno capolavori, decisamente kitsch come il set di un pessimo film hollywoodiano.
Ma ci sbagliamo. In realtà, il marmo delle sculture e quello degli edifici greci e romani erano coperti da una vivace policromia, che si è perduta con il passare dei secoli e dei millenni (oltre che con la pulitura radicale a cui sono state sottoposte molte sculture in parecchi musei); come sono andati perduti i marmi colorati  usati dai romani per rivestire le pareti degli edifici (incrustationes) a partire dall’epoca di Augusto (27 a.C. - 14 d.C.).

Inoltre siamo accecati da un "pregiudizio neoclassico" che risale a Johann Joachim Winckelmann (il critico tedesco che ha fondato la storia dell’arte e dell’archeologia), secondo il quale la bellezza poteva fare a meno del colore. Infatti, nel testo Storia dell’arte dell’antichità (1764) scrive: "Il colore contribuisce alla bellezza, ma non è la bellezza, bensì esso mette soprattutto in risalto questa e le sue forme. Ma poiché il colore bianco è quello che respinge la maggior parte dei raggi luminosi e che quindi si rende più percepibile, un bel corpo sarà allora tanto più bello quanto più è bianco, e quando è nudo

Antefissa a Gorgone, dal Tempio etrusco
di Portonaccio – Veio (VI sec. a.C.)

sembrerà più grande di quanto è effettivamente".
Certo, era a conoscenza delle sculture policrome (sia in
terracotta dipinta che in marmi colorati), ma per lui e per i  teorici a lui contemporanei l'uso del colore era espressione di "immaturità" o di "decadenza", legato a epoche pre o post classiche, come l’arcaismo e la tarda antichità, o tipico delle opere di imitazione realizzate in aree periferiche (come le sculture che si rinvenivano a Pompei proprio in quegli anni). L'arte classica, simbolo della perfezione assoluta e caratterizzata da 'nobile semplicità e quieta grandezza', non poteva che essere candida!


N
el corso del XIX secolo gli archeologi si erano allontanati dall'impostazione di Winckelmann, proponendo ricostruzioni policrome di sculture e templi antichi proprio basandosi sulle tracce di colore conservate non solo su statue di marmo ma anche su cornici e capitelli (foto a destra). Ma dagli inizi del XX secolo si era avuto un nuovo
 




G. TREU - R. GRÜTTNER - R. DIEZ, Ricostruzione della policromia
del frontone orientale del Tempio di Zeus a Olympia
(1886)


rovesciamento di fronte: si erano rispolverate le teorie
winckelmanniane, peraltro banalizzate e semplificate, e
nell’opinione comune il bianco era diventato il colore dell’arte antica.
 
Negli ultimi due decenni del XX secolo gli studi sulla policromia hanno però ripreso forza, anche grazie all'utilizzo combinato di foto a luce ultravioletta e a luce radente (per scoprire le tracce dei colori scomparsi) accanto all'analisi chimica delle patine colorate sopravvissute. In questo lavoro sono all'avanguardia tre istituzioni museali - la Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen, la Gliptoteca di Monaco e i Musei Vaticani - che hanno unito i loro sforzi e, tra il 2003 e il 2005, hanno esposto in una mostra itinerante modelli ricostruttivi policromi a grandezza naturale di sculture (e architetture) antiche, con effetti assolutamente spiazzanti per i nostri poveri occhi malati di monocromia (I colori del bianco. La policromia nella scultura antica, Musei Vaticani 17/11/2004 - 31/01/2005). Recentemente, l'11 marzo 2009, nell'Auditorium dell'Ara Pacis a Roma molti studiosi si sono riuniti per mettere a punto lo stato degli studi in proposito nel convegno I colori di Augusto. Incontro internazionale sulla policromia dei monumenti antichi (e della stessa Ara Pacis è stato proposto un modello digitale policromo, v. sotto).
Dobbiamo perciò rivedere la nostra idea di 'classico', e immaginare le sculture antiche in generale coperte da colori puri e brillanti, e con alcuni elementi - gioielli, cinture, armi ecc. - applicati in metallo, come indicano i fori presenti nei marmi, destinati a fissarli (ad esempio nelle statue frammentarie del frontone del Tempio di Apollo Sosiano a Roma, originali greci del 450 a.C. ca). E d'altra parte dobbiamo tenere a mente che queste opere erano state create non per le sale bianche di un museo ma per stare su acropoli assolate e promontori a picco sul mare o davanti a pareti ricoperte da affreschi dalla cromia accesa.
Ecco quindi un piccolo, e sorprendente, campionario di opere nella 'rilettura' policroma tridimensionale moderna, ricostruzioni sia reali a grandezza naturale sia semplicemente virtuali. Prima la Grecia, e poi Roma.

 

Tempio di Athena Aphaia a Egina (480 a.C.)

 

 


 
Tempio di Athena Parthenos / Partenone ad Atene
(447-432 a.C.)

Architettura di Iktinos e Kallikrates, decorazione scultorea di Fidia. Da sempre esempio della "purezza" e della perfezione dell’arte classica, eppure il pregiato marmo pentelico con cui fu realizzato doveva essere largamente ricoperto da colori...

Il lato occidentale: il frontone con la Contesa fra Athena e Poseidone per il possesso dell'Attica
 

 
 
Le metope con la
Centauromachia

 
 



 

 
Del resto, dentro la cella del tempio c’era la monumentale Statua crisoelefantina di Athena Parthenos, alta intorno ai 12 metri. Aveva le vesti in lamine d’oro e le carni in placchette d'avorio (crisoelefantino significa, appunto, in oro e avorio) su uno scheletro ligneo.

Sul lato esterno dello scudo c'era, sbalzata nell'oro, una amazzonomachia, quello interno era decorato con una gigantomachia dipinta a colori vivaci.
Anche le suole dei sandali avevano scene scolpite (centauromachia).
La statua si ergeva su un basamento, alto forse 2 metri, sembra in marmo nero dell'Imetto ma decorato con rilievi in marmo bianco che rappresentavano il mito di Pandora.
Si trattava, quindi, di un'opera polimaterica e intensamente policroma. Nel buio della cella l'immagine della dea doveva apparire enorme e sfarzosa, trasmettendo l’idea della "alterità" della divinità rispetto al mondo degli uomini.

Le sculture marmoree policrome all'esterno del tempio sono quindi perfettamente in armonia con il cromatismo della statua di Athena dentro la cella.

   

Il lato interno dello scudo
   

 

 
Apollo Parnopios di Fidia (ca 460 a.C.)

Il gusto per il colore degli antichi Greci è provato anche dalla
statuaria in bronzo, visto che i rari originali che ci sono pervenuti sono sempre ravvivati da inserti policromi di altri materiali, come ad esempio nei Bronzi di Riace.
 

Per la mostra itinerante del 2003-2005 è stata "ricostruita" la statua dell’Apollo Parnopios di Fidia, offerta al dio per ringraziarlo di aver liberato Atene da un'invasione di cavallette nel 460 a.C. (parnopios, che libera dalle cavallette).
La statua ci è nota solo da copie romane in marmo (tra le più belle, la testa del tipo Kassel da Villa Rivaldi, ora ai Capitolini / Centrale Montemartini di Roma) perché l'originale di bronzo dorato è andato perduto. Nella ricostruzione a dimensione naturale proposta, il dio ha occhi incastonati e labbra in lamina di rame, mentre arco, frecce e cavallette sono in argento.
 



 

 
Prassitele e Nicia di Atene (IV secolo a.C.)

Di uno dei più celebri scultori classici del IV secolo, Prassitele (400/395-326 a.C.), si sa con certezza che affidava le sue statue in marmo, dopo averne accuratamente lisciato la superficie, al pittore Nicia di Atene, che le rifiniva ricoprendole completamente con una miscela colorata a base di cera (ganosis, procedimento diverso dalla circumlitio, che consisteva nella sottolineatura tramite il colore solo di alcuni dettagli, come capelli, occhi, accessori e così via).
Pochi anni fa è stata scoperta nella villa dei Papiri a Ercolano una testa di Amazzone che è stata identificata (anche se non da tutti gli studiosi) come una copia romana dell'Amazzone di Policleto (del tipo Sciarra), realizzata dall'artista per il Concorso di Efeso in onore di Artemide in competizione con altri scultori, Kresilas e Fidia; testa con evidenti tracce di colore sui capelli e gli occhi. Di questa gli scienziati del WMG (Warwick Manufacturing Group) dell'Università di Warwick, insieme ai colleghi dell'Università di Southampton e all'Herculaneum Conservation Project (HCP), hanno proposto una ricostruzione digitale policroma (vedi: Corriere della Sera, 19/01/2009).
         


 

 

 

Nemmeno i Romani scherzavano quanto a passione per il colore.
Anche loro rivestivano le statue e i rilievi di marmo con pittura dai colori vivaci, come i Greci. In più, usavano marmi colorati in abbondanza, sia nella statuaria che nell’architettura, cosicché Roma era sì una città di marmo, ma non monocroma bensì intensamente policroma.
Nella
mostra itinerante del 2003-2005 sono state proposte, ad esempio, le ricostruzioni policrome di un Ritratto di Caligola e del celebre Augusto di Prima Porta, caratterizzato dalla coloritura solo di alcune parti (il manto militare o paludamentum e i rilievi sulla corazza) probabilmente per rendere immediatamente riconoscibile l'imperatore nella sua veste di generale vittorioso e portatore di pace.
 

Ara Pacis Augustae (dedicazione: 9 a.C.)

Altare monumentale (m 11,65 x 10,62 x 3.68 h) lungo l'antica via Flaminia (via del Corso), in origine in relazione urbanistica e ideologica con l'horologium Augusti (la vasta piazza con l'orologio solare, il cui obelisco-gnomone è oggi collocato di fronte a Palazzo Montecitorio) e l'Augusteum, il mausoleo dell'imperatore e della sua famiglia (click). Considerato la massima espressione del classicismo di epoca augustea.
 


           
       Il Lupercale
                   
                                                       Enea che sacrifica ai Penati


 

 

 
 
Colonna Traiana
(113 d.C.)
 
Collocata nel Foro
di Traiano (113). Alta 100 piedi romani (circa 30 metri), che diventano quasi 40 con il basamento, è avvolta da un lungo fregio scolpito che narra per immagini gli episodi delle due campagne daciche condotte dall’imperatore (colonna coclite). Il fregio, lungo 200 metri e con più di 2.500 figure, è il più notevole esempio di rilievo storico romano a narrazione continua.
L'autore è ignoto e viene chiamato Maestro delle Imprese di Traiano: scultore di alta qualità, realizza un bassorilievo pittorico che non incrina il valore tettonico della colonna; inoltre, aumenta l'altezza delle fasce scolpite dalla base verso la sommità, una correzione ottica per garantire la visibilità delle scene. Sembra certo che il rilievo fosse colorato, anche se si ignora l'estensione della coloritura: c’è chi dice che il colore riguardasse solo alcuni particolari, chi invece propende per una coloritura completa (ad esempio, Ranuccio Bianchi Bandinelli). Inoltre, era completato con applicazioni in bronzo (armi e strumenti vari). In bronzo era anche la statua di Traiano posta sulla sommità, scomparsa e sostituita
alla fine del XVI secolo da quella di San Pietro per volontà di papa Sisto V.
L'effetto complessivo doveva essere perciò molto diverso dall’attuale, ma dobbiamo immaginare la colonna nella sua collocazione originaria: dentro uno stretto cortile, con biblioteche sui due lati brevi e la basilica Ulpia come sfondo, e quindi immediatamente visibile a chi entrava nel Foro dal propileo monumentale del quarto lato (dove c'era l'ingresso, e non il tempio del divo Traiano, stando alla nuova planimetria del complesso forense proposta dopo gli scavi archeologici effettuati dal 1998). Il colore esaltava la visibilità, poco agevole, dei rilievi dell’alta colonna, che oggi appaiono invece chiarissimi nel loro biancore perché il monumento è isolato nello spazio, essendo scomparse le strutture che lo circondavano.  

 



(da: R. BIANCHI BANDINELLI, Il Maestro delle Imprese di  Traiano, Electa 2003,
calco della scena XXXII dipinto nel 1971)

 

 
 
A ogni statua il suo marmo

 
Ci sono pervenute molte statue in marmi colorati, che testimoniano come la scelta del tipo e del colore fossero anche in relazione al soggetto raffigurato, in modo da esaltarne le caratteristiche.
Nel
Fauno ebbro da Villa Adriana a Tivoli (a. II secolo, Musei Capitolini) il marmo rosso antico (laconicum), che richiama il colore del vino, sottolinea il carattere vitale e passionale del Fauno, amante dei piaceri della vita. Nella Statua di Matidia come Nike (b. prima metà I secolo d.C., Sessa Aurunca) vengono usati due tipi di marmo, bigio morato per il chitone e marmo bianco per le carni, con un effetto di grande eleganza e leggerezza. Per la statua di Marsia, che decorava gli horti di Mecenate (c. Musei Capitolini), il marmo pavonazzetto (phrygium) viene scelto perché le sue caratteristiche venature violacee evidenziano il supplizio a cui venne sottoposto da Apollo, essere 'spellato' vivo. Infine, nel ritratto di Caracalla la testa in marmo bianco lunense (di Carrara) è inserita in un busto di porfido rosso, il marmo che richiama la porpora imperiale.
 
a

b

  c

 
(Giulia Grassi, agosto-settembre 2009)

 


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